mercoledì 25 aprile 2012

La fortuna critica di Artemisia Gentileschi

Artemisia Gentileschi, Giuditta che uccide Oleferne. Napoli, Museo di Capodimonte. Artemisia Gentileschi, figlia del pittore caravaggesco Orazio Gentileschi, rappresenta una delle figure più importanti nel panorama dell’arte italiana del XVII secolo, sebbene sia stato un personaggio passato inosservato per molto tempo agli occhi degli storici, anche suoi contemporanei, i quali si interessarono più alle vicende biografica (la pittrice fu vittima di uno stupro da parte del pittore Agostino Tassi), piuttosto che delle sue opere. La fortuna critica di Artemisia Gentileschi si sviluppa, essenzialmente, in due direzioni che, nel tempo, si sono alternate e, a volte, incrociate. La prima riguarda la lettura in chiave femminista data alle opere della pittrice. La seconda riguarda l’inclusione della Gentileschi nella cerchia dei seguaci di Caravaggio. Entrambe le tendenze intraprese dagli studi hanno, come punto di partenza, l’articolo scritto da Roberto Longhi nel 1916, intitolato “Gentileschi padre e figlia”. Definendo l’artista come «l’unica donna in Italia che abbia mai saputo cosa sia pittura e colore, e impasto, e simili essenzialità», lo studioso per la prima volta mette in luce l’appartenenza legittima di Artemisia al mondo di Caravaggio, considerandola fondatrice del “primitivismo caravaggesco” a Napoli, città dove la pittrice vi soggiornò due volte. Ma, cosa ancora più importante, Longhi è il primo a considerare la Gentileschi non come donna bensì come artista, esaltandone la professione e considerando le sue opere al pari di quelle prodotti dai pittori, cercando di discostare la sua mano da quella del padre Orazio. Significativo, in tal senso è il commento dello studioso di fronte alla Giuditta e Oleferne conservata al Museo di Capodimonte a Napoli: «Ma vien voglia di dire questa è la donna terribile! Una donna ha dipinto tutto questo». LEGGI L'ARTICOLO COMPLETO SU ARTE RICERCA

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