sabato 28 aprile 2012
Guido Andloviz
Guido Andlovitz amava firmarsi Andloviz. L''italianizzazione" del cognome, che prosegue oltre il crollo del regime fascista, non è a mio avviso riducibile solamente a una scelta politica.
La mia ipotesi è che l'aneddoto sia significativo di una scelta estetica fors'anche inconsapevole. Eppure gli inizi dell'attività di Andloviz (anche a me piace chiamarlo cosi) in campo ceramico, nel 1923, presso la Società Ceramica Italiana di Laveno, avvengono sotto una costellazione stilistica d'oltralpe. Le "fonti" di Andloviz (come di Giò' Ponti, coevo rivale” presso la manifattura concorrente Richard Ginori) sono state a più riprese individuate da vari studiosi, connaisseur, amatori, da Paolo Portoghesi a Carla Cerutti a Mario Munari nell'esperienza della Wiener Werkstätte, di Dagobert Peche e Oskar Kaufman. D'altronde, questa fascinazione proveniente da un'area austro-ungarica non caratterizza solo gli anni '20 e lo "Stile 1925" nel nostro paese. Prima influenza, come ha affermato Massimo Carrà, il "Liberty" italiano; poi in anni molto recenti. è dichiarato fantasma figurativo, con le opere ceramiche di nuovo di Dagobert Peche e con quelle di Michael Powolny per la Wiener e la Gmunder Keramik, per i designers italiani che si ricimentano con i vasi nell'operazione Nuova Ceramica Nuove Tendentse.
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