domenica 22 aprile 2012
LA DICHIARAZIONE DI INTERESSE CULTURALE: DISCIPLINA E PROFILI APPLICATIVI - Gabrio Abeatici
Secondo la normativa vigente, i beni artistici di proprietà dello Stato, delle Regioni e degli altri enti pubblici territoriali (inclusi quelli degli enti pubblici, delle persone giuridiche provate senza fini di lucro e gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti) che presentino “interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico” sono considerati – rectius, si presumono – essere “beni culturali” (cfr. art. 10, comma 1, Cod. beni cult.). Più precisamente, tali opere, qualora siano di Autore non più vivente e la cui esecuzione risalga ad oltre 50 anni, si considerano “beni culturali” fino all’espletamento della procedura di verifica della sussistenza dell’interesse artistico, da parte degli organi competenti del Ministero (d’ufficio oppure su richiesta di coloro cui tali beni appartengono) “sulla base di indirizzi di carattere generale stabiliti dal Ministero” (art. 12, comma 2, Cod. beni cult.). Tale disciplina – si noti – si applica anche qualora i soggetti proprietari del bene mutino la loro natura giuridica (art. 12, comma 9, Cod. beni cult.).
Nell’ipotesi di beni appartenenti a privati non è, invece, prevista tale presunzione e successiva verifica, essendo bensì stabilita (art. 13 comma 1) una procedura di dichiarazione, che accerta la sussistenza dell’interesse artistico di cui all’art. 10, comma 3. Tale dichiarazione non riguarda le raccolte di musei, pinacoteche, gallerie, archivi, documenti, raccolte librarie dello Stato, delle Regioni, di altri enti pubblici territoriali ed altri enti pubblici (cfr. art. 13, comma 1, Cod. beni cult., che rinvia all’elenco di cui all’art. 10, comma 2, stesso Codice).
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