martedì 28 febbraio 2012

Le prime esposizioni triestine dell'Ottocento - Donata Levi

Tra i quattordici punti che Melchior Missirini elencava nel 1823 nelle sue Memorie sulla romana Accademia di San Luca per motivare l'opportunità, poi sfumata, di allestire una nuova e più ampia sala espositiva, i primi tre riguardavano i vantaggi che ne sarebbero venuti al mercato artistico: alla maggior opportunità di scelta per i compratori e a un ridimensionamento delle frodi dei negozianti, si sarebbe accompagnata la possibilità di eliminare intermediazioni, particolarmente onerose per gli artisti alle prime armi. Negli altri undici, l'accento cadeva su principi ideali, quali la democraticità dell'iniziativa - riconoscendo alle "arti" una naturale vocazione pubblica e popolare -, il beneficio che veniva agli artisti da un sano esercizio critico, il contributo al decoro e alla gloria dell'intera nazione, il suo valore per l'educazione civile ed artistica del pubblico1. Più di un ventennio dopo, nel 1847, Carlo D'Arco, illustratore di memorie mantovane e già autore di una biografia di Giulio Romano2, riferendosi alle esposizioni organizzate dalle Società promotrici - recentemente formatesi, sull'esempio dell'asburgica Trieste, in varie città italiane -, distingueva nettamente i due aspetti, "quello cioè che riguarda al materiale interesse che ne deriva agli artefici; e quello tutto morale che giovar dovrebbe alle arti"3. Mentre una tabella attestava gli introiti che queste esposizioni avevano portato agli artisti, assai deludenti apparivano i risultati "rispetto all'utilità morale" delle società e della loro principale e talora unica attività, quella espositiva. Come già aveva rilevato due anni prima Pietro Selvatico a proposito dell'esposizione fiorentina4, anche D'Arco lamentava la proliferazione de "l'arte di genere, i paesetti, le vedutine, le fiammingate" e la mancata adesione ai "bisogni spirituali dell'arte ed alla gloria vera della nazione", sottolineando che proprio queste nuove associazioni - le Promotrici - avevano finito per favorire economicamente "quegli artisti che, non ispirati dal genio non avrebbero trovato come spacciare altrimenti le meschine loro opere"5. Le esposizioni promosse da queste nuove associazioni, assai più di quelle di matrice accademica, mettevano a nudo le tendenze di una domanda di mercato volta a una produzione meno impegnata ideologicamente e più consona (quanto a dimensioni e soggetti) alla decorazione degli interni borghesi. Leggi tutto su Arte Ricerca

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