martedì 7 febbraio 2012
Isola d'Istria (sec. XIV-XVI) - Giuseppe Franceschin
Nel 1340 il vescovo di Capodistria Marco Semitecolo, già canonico di Venezia, per sue successori rivendica la decima dell'olio di Isola: un diritto, a suo dire, contemplato dalla legislazione ecclesiastica comune e riconosciuto per antica consuetudine, anche se da diversi anni non onorato.
Invitati ripetutamente a provvedere al versamento della decima con la minaccia della scomunica e interdetto, gli Isolani chiedono al vescovo l'immediata revoca dell'azione intentata in quanto assolutamente priva di fondamento e, comunque, non tale da giustificare una pena e una censura così grave. Quindi, vista inutile la loro richiesta, si appellano al patriarca, che delega il vicario generale Guidone vescovo di Concordia a dirimere la questione.
Al processo che si tiene a Udine il 4.9.1341, il procuratore di Isola, Facino, esibisce uno scritto con il quale il comune, respinge con forza il monitorio del vescovo di Capodistria come infamante e pregiudizievole; ribadisce la legittimità del censo dovuto alla abbadessa, chiedendo che la corte condanni il vescovo al perpetuo silenzio.
Il dovuto di ciò che si produce in Isola in olio, vino, frumento ed altro, spetta solo alla veneranda e onesta Signora Abadessa e al suo monastero. Un tanto è confermato da diversi sommi pontefici e da un'antica consuetudine. Il comune è tenuto ad onorare questi impegni solo verso di lei, sotto pena d'interdetto e di scomunica senza previa ammonizione canonica.
Il padre e signor vescovo di Giustinopoli, con animo indurato, si rifiutò di revocare il processo e la sua lettera, che riteniamo nulli in quanto privi di ogni ragionevole motivazione. Chiediamo pertanto che con sentenza, sia imposto al vescovo Marco il perpetuo silenzio e che sia condannato al risarcimento delle spese.
Le ragioni del vescovo, che non compaiono specificate nell'atto del processo, sono presentate da Silvestro, pievano del vico di S. Pietro. Alle arringhe, segue un vivace e lungo dibattito, con la partecipazione dei saggi, Agostino da Udine e il canonico Viviano da Polcenigo. Infine, ecco la sentenza:
Invocato il nome di Cristo dal quale solo provengono i retti giudizi, sentenziamo che le ammonizioni e gli ordini del signor Vescovo sono da considerarsi ingiusti e contrari all'ordine del diritto e pertanto devono essere revocati. Da quanto prodotto in giudizio dalle parti, appare evidente che le decime dell'olio non sono di spettanza del vescovo, ma solo dell'abadessa. Imponiamo pertanto al vescovo Marco il perpetuo silenzio e lo condanniamo alle spese della causa che saranno successivamente stabilite (1).
All'epoca, le rendite di Isola sono sensibilmente ridotte. Non sono pochi coloro che, contrariamente a quanto dichiarato al processo di Udine, evadono le decime e i censi dovuti al monastero. Contro di loro viene chiamato ad intervenire il decano di Aquileia Guglielmo, come conservatore dei beni del monastero e giudice delegato dalla Sede apostolica. Nel 1346, dopo una citazione in giudizio degli inadempienti, pronuncia una sentenza di condanna contro di loro che però non vale a ravvederli. In una successiva citazione succedono gli incredibili fatti di cui parla una carta del monastero.
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