mercoledì 28 dicembre 2011

ROBERTO KUSTERLE - I RITI DEL CORPO

Le immagini di Roberto Kusterle fluiscono dallo spazio/tempo espositivo attraverso i nostri sensi, contaminando con piccole spore di inquietudine la percezione del reale e i nostri quotidiani equilibri. Le sue fotografie testimoniano di un processo creativo che, lontano da compiacimenti estetici, propone una rilettura del corpo attingendo alle dinamiche liberatorie di happenings e performances che avevano caratterizzato l'arte degli anni '60 e '70 (si pensi al movimento del Wiener Aktionismus di Hermann Nitsch e Arnulf Rainer, alle trasformazioni di Francisco Coppello o di Urs Lhuti), per approdare a una personalissima fotografia teatralizzata, i cui protagonisti, esseri metamorfici depositari di enigmatiche vestigia di religioni antiche, incarnano -alternando l'ironia all'angoscia- le pulsioni di Eros e Thanatos. I personaggi, a metà strada tra visioni oniriche e proiezioni di un inconscio collettivo, sembrano prender corpo dalle pagine di “The golden bough” di J. G. Frazer, compendio di studi antropologici e riti propiziatori; con loro ci addentriamo in una dimensione nella quale gli animali diventano pegno e ricettacolo del dio a cui vengono immolati, trasformandosi in fonte di potere e talismano di protezione. Il corpo non è che un guscio: l’anima, deviata da un canale, confluisce vivificata in un altro; durante il sonno, naturale o indotto che sia, essa si allontana per visitare luoghi e compiere azioni che il dormiente vede nei suoi sogni. Le figure dei ritratti di Kusterle immerse appaiono in una trance iniziatica: gli occhi chiusi, le membra abbandonate, lo spirito dolorosamente proteso alla ricerca di risposte agli eterni dilemmi della vita. Ma l’impianto classico è destabilizzato da un’inventiva dissacrante e visionaria; gli elementi naturali, tolti dal loro abituale contesto e riadattati a suggerire nuove simbologie, concorrono a stemperare il pathos per approdare a una insolita dimensione ludica.
Lo scatto fotografico non si pone come punto di arrivo, ma come fase intermedia del lento affiorare di rituali ancestrali, nei quali il confine dell'uomo non coincide con quello del proprio corpo. E se la narrazione fotografica ci rimanda a sacrali cerimonie, rituali devono essere anche le fasi di preparazione: da quando Kusterle fissa le idee su carta, alle mattutine passeggiate lungo l'Isonzo, osservando la natura non con gli occhi del gitante, ma con lo sguardo dello sciamano capace di infondere l'élan vital alle spoglie di piccoli animali, a rami e radici, raccolti e poi gelosamente custoditi nel proprio atelier. Rituale è la spoliazione e de-strutturazione dei personaggi, rivestiti di creta, trasformati attraverso innesti e “mutilazioni” in creature antropomorfe di lontane mitologie. E solenne deve essere il processo di stampa: meticolosi la scelta della carta e i molteplici passaggi in camera oscura, per ottenere il giusto contrasto tra l'urlo sommerso dei soggetti e la morbidezza dei toni dello sfondo, per raccontare di crepuscoli dentro a tende o capanne, quando gli anziani della tribù narravano di magiche imprese e di riti pagani consumati intorno al fuoco. A noi osservatori non resta che inoltrarci in queste inesplorate terre d’ombra: tra teofanie arboree e marine, magari scopriremo che la forza del nostro sguardo, percorrendo ogni immagine, potrebbe incrinare la falsa inerzia dello scatto fotografico e, sgretolando barriere di sabbia e concrezioni di argilla, riscaldare la materia sottostante, richiamando a nuova vita (e nuove sofferenze) quelle anomale divinità. Lorella Klun (Leggi su Arte Ricerca)

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