mercoledì 28 dicembre 2011
COME VIAGGIAVAMO NELLA MITTELEUROPA 1815-1915
Viaggiare! Uscire dal "quotidiano", cambiare, cambiare tutto, per assicurarci i benefici desiderati! L' abbiamo imparato di recente con l'etica della vacanza estiva", esortavano le guide di fine secolo XIX. Ma perché le vacanze divenissero un'opportunità accessibile quasi a tutti nel mondo occidentale dovette trascorrere circa mezzo secolo.
Se il Settecento era stato caratterizzato dal moltiplicarsi dei viaggi, esplicazione di una nuova psicologia basata sul movimento, sull'«irrequietezza» di una nuova volontà di scoprire e di confrontare, che comportava necessariamente una presa di posizione critica, una riflessione che poneva in discussione i concetti di autorità tradizionalmente indiscussi, una rappresentazione del travaglio della società nobiliare nel trapasso da una struttura di caste chiuse ad una fondata su più liberi rapporti umani, il viaggiare rimaneva tuttavia privilegio di pochi, prerogativa di uomini di elevata condizione, nobili, ricchi e colti.
Dotati di competenze e motivazioni diverse, i viaggiatori del Settecento erano accomunati dall'interesse per l'ambiente umano e civile, storico e antropologico. Uscendo dal quotidiano si scontravano con un "fuori" in cui dominava l'incertezza, ma "liberi" da imposizioni temporali legate all'attività produttiva. Il viaggio in carrozza era una conquista, un'esperienza vissuta fino in fondo, un arricchimento della propria personalità.
"Non sono una vera viaggiatrice. Ho paura quando la strada è brutta e quando il postiglione è troppo avventato; ho grande ribrezzo per la sporcizia; non riesco a buttar giù certi cibi come ad esempio il caffè di cicoria di Merano; perdo la pazienza, mi deprimo e mi rammarico di non essere rimasta a casa quando si verifica una giornata di pioggia proprio nel momento in cui io volevo vedere qualcosa di interessante. Tuttavia preferisco sopportare tutto ciò piuttosto che rinunciare alla passione del viaggio" scriveva la berlinese Ida Hahn-Hahn nelle Reisebriefe sulla sua esperienza in Italia. Passione per il viaggio piena di contraddittorietà, compensata tuttavia dal significato stesso del viaggiare come fuga dalle costrizioni che il ruolo femminile imponeva alle donne e come liberazione, ossia vivere una vita alternativa in cui poter essere finalmente se stessa. La pubblicazione della guida per i viaggiatori in Europa di Mariana Starke, Information and direction for travellers on the Continent del 1825, riveduta e ampliata nel 1828, conferì alla turista femminile un certo "status": le donne non causavano più reazioni di sorpresa: affrontavano il viaggio in Italia per motivi convenzionali, sole o accompagnate in lussuose carrozze private, o con mezzi di trasporto più modesti, sobbarcandosi le fatiche del viaggio per l'intera giornata su strade dissestate, in compagnia a volte di sconosciuti che ad ogni balzo piombavano loro addosso, o con la paura di venir assalite da briganti. Una vera tortura, compensata dalle bellezze storico-artistiche, che richiedeva tuttavia "una buona costituzione fisica e una cristiana pazienza".
La lentezza delle carrozze postali sfiniva i passeggeri. "Ci si muove con lentezza incredibile, ci si ferma per ore ad una stazione di posta, in ventiquattro ore si riesce a malapena coprire otto miglia" si lamenta un viaggiatore. È interessante come le guide postali di allora raccomandino di portare con sé un pugnale, di provvedere ad attaccare al bagaglio dei campanelli, "in modo che quando cessano di suonare, si sa che è accaduto qualcosa", di preferire bagagli di pelle di vitello o di cinghiale piuttosto che di foca a causa della polvere delle strade; di apporre allo scrignetto una robusta serratura e dal momento che funge anche da necessaire da viaggio contenere anche materiale per scrivere, ovviando in tal modo alla carenza diffusa nelle locande italiane, dove l'oste scrive il conto intingendo il pennino nell'inchiostro versato in un piatto.
"Le carrozze non erano sempre in buono stato e non pochi erano gli incidenti, causati dal pessimo stato delle strade ulteriormente aggravato dalla pioggia, dalla neve e dal fango. Bisognava scendere e sprofondare nel fango, quando la carrozza non si ribaltava." Santo Iddio che buio, che groviglio di braccia, di gambe di volti! Un po' alla volta cercammo di ricomporci e di uscire per il finestrino uno dopo l'altro come spazzacamini dalla canna fumaria!" annotava Glaser, quando invece la carrozza non veniva sollevata da forti raffiche di vento e sbattuta in un campo di patate a 10 piedi di distanza. I postiglioni a volte erano impertinenti e le stazioni di posta distanti due ore di tragitto l'una dall'altra. "È necessario il cambio dei cavalli; ci stiamo avvicinando ad una stazione di posta. Finalmente nella notte buia una luce fioca: la porta della stalla si apre sonnecchiosa, un postiglione esce sbuffando. Con lentezza incredibile i cavalli vengono attaccati, con goffaggine provate le briglie. Poi il postiglione indossa lentamente la sua uniforme, getta sulla carrozza la frusta, il mantello, un grande sacco di avena e foraggio, la sella e finalmente si arrampica sulla cassetta", scriveva Friedrich Wilhelm Hackländer nel Reise in den Orient del 1846.....continua (Leggi tutto su Arte Ricerca)
Marina Bressan
© Edizioni della Laguna
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