mercoledì 28 dicembre 2011
"LA BATTAGLIA DI CAPORETTO" 24 - 26 OTTOBRE 1917
"La sensazione di non essere gettate al massacro, ma impiegate con senso di responsabilità, sarebbe stato il miglior tonico per le truppe che dovevano affrontare i successivi combattimenti."
L'esercito italiano, entrato in guerra il 24 maggio 1915, si è disteso con uno schieramento pressoché continuo lungo la linea di confine con l'Austria-Ungheria. Nell'ottobre 1917 è suddiviso in sei grandi unità:
1) III° C.d'A. dallo Stelvio al lago di Garda;
2) Ia Armata dalla sponda orientale del lago di Garda alla Valsugana;
3) IVa Armata dalla Valsugana al Monte Peralba;
4) XII° C.d'A. dal Monte Peralba al Monte Rombon (zona Carnia);
5) IIa Armata dal Monte Rombon al fiume Frigido;
6) IIIa Armata dal Frigido al Mare Adriatico.
"L'esercito italiano scese in guerra nel maggio del 1915 assolutamente impreparato: militarmente e moralmente... Entrammo in guerra con un armamento 'preistorico'... Nessuno s'era corretto in dieci mesi di guerra europea... Le bombe a mano erano sconosciute... Gli ufficiali parteciparono ai primi combattimenti con la sciabola e vestiti in modo da essere subito colpiti. L'aviazione non funzionava. Nessuno dei capi vi aveva creduto... Fra l'artiglieria e le fanterie nessun serio collegamento, nessun segnale: l'artiglieria nostra finiva per sparare sui nostri fanti. Si pretendeva tagliare i reticolati con le pinze a mano e con i tubi di gelatina. In questo impossibile compito furon sacrificati i migliori elementi della fanteria e del genio. I superiori... mandavano al macello, contro reticolati intatti, masse di uomini... L'eroismo del basso si mescolava all'imbecillità dell'alto e devon datare da quel tempo le cartoline austriache lanciate fra le nostre truppe, dove si vedevano i nostri soldati con la testa di leone guidati da generali con la testa d'asino... Si concepiva la guerra come nei vecchi manuali formati sulle esperienze del 1870... L'anno 1915 resterà, per chiunque sia stato allora al fronte, disastroso e deprimente. In esso l'esercito fu impoverito dei migliori elementi che si sacrificarono senza frutto, stancando e sfacendo il fiore delle truppe e il meglio degli ufficiali e dei volontari."
Mentre sul fronte russo la guerra ha conservato le caratteristiche di movimento, sul fronte francese e più ancora sui fronti italiani i combattimenti hanno assunto l'aspetto di guerra di posizione, vincolata quindi a trincee, fortilizi e lunghe e profonde barriere di filo spinato. L'esercito italiano ha condotto fin dall'inizio una guerra offensiva particolarmente impegnativa sulla Fronte Giulia dove erano schierate due armate (II e III) e dove ha combattuto ben undici battaglie in due anni.
PRELIMINARI ALLA BATTAGLIA
SETTEMBRE 1917: RILASSAMENTO
Il 29 agosto 1917 Cadorna ordina alla II Armata la sospensione delle operazioni: la vittoriosa offensiva italiana, che ha visto le truppe italiane dilagare sull'Altopiano della Bainsizza ma s'è poi interrotta per l'irrigidimento della resistenza austriaca, si deve ritenere conclusa. Al fronte e in Italia viene considerata un grande successo sia per il territorio conquistato, superiore a quello quasi insignificante delle precedenti dieci battaglie, sia per la caduta di alcuni capisaldi nemici come il Monte Santo, ma anche per la minaccia portata sul rovescio del fronte nemico. La ripresa offensiva, prevista dal Comando Supremo con l'intento di operare un grande sfondamento sul medio e basso Isonzo lungo la direttrice della valle del Vipacco, inizialmente è fissata per il 10 settembre, poi viene rimandata a fine mese e infine sospesa. Il 18 settembre Cadorna ordina infatti alla II e alla III Armata di assumere lo schieramento di difesa ad oltranza: per quest'anno non ci sarà più alcuna offensiva. Tutti sono quindi tranquilli.
Nel periodo in cui il nemico prepara la sua offensiva, l'efficienza del Comando italiano è ulteriormente compromessa dall'assenza o debilitazione di due comandanti senza validi sostituti: il comandante supremo, assente dal suo quartier generale di Udine, e il comandante della II Armata, di precaria salute per grave malattia.
LA CONTROFFENSIVA CHE NON C'ERA
Cadorna il 18 settembre inoltra ai comandanti delle due armate schierate sulla Fronte Giulia, la II comandata da Luigi Capello e la III comandata dal duca d'Aosta, l'ordine tassativo di sospendere ogni operazione offensiva e di predisporre, nello stesso tempo, tutti i preparativi necessari per la difesa ad oltranza. Mentre il duca d'Aosta si uniforma subito a tale direttiva, Capello non vi si attiene perché intende sostituire ad una stretta difensiva una possibile azione combinata difensiva-controffensiva. In altri termini, secondo lui lo schieramento oltre ad essere difensivo deve permettere la manovra controffensiva in modo da arginare prima il nemico e poi ributtarlo guadagnando terreno.
Mentre Cadorna è assente questa atmosfera rilassata comincia ad essere turbata da notizie che arrivano al Comando della II Armata circa i preparativi del nemico per un'offensiva molto prossima, proprio sulla Fronte Giulia. Già il 4 di ottobre i prigionieri austriaci parlano di un'offensiva imminente. Capello, ammalato e impossibilitato a muoversi ma già allarmato, nel corso di una conferenza del 14 ottobre nel quartiere di Cormons espone ai suoi divisionari, "con chiara preveggenza", il suo timore di un attacco nemico che, sboccando dalla testa di ponte di Tolmino, sfonderebbe in fondo valle a Volzana la linea del XXVII° C.d'A. (Badoglio) e, rimontando la destra dell'Isonzo, aggirerebbe il IV° C.d'A. (Cavaciocchi) incuneandosi tra la nostra prima linea oltre l'Isonzo e la seconda al di qua del fiume, aprendosi la strada per Cividale e Udine.
Il quadro è allucinante perché Capello ha avuto sì della preveggenza, ma continua a parlare di controffensiva senza però dare concrete disposizioni per la sua realizzazione o per altre iniziative coerenti con l'intuizione.
Ma le notizie di un'offensiva nemica si fanno sempre più consistenti tanto che il 19 ottobre Cadorna, appena rientrato nella sede del Comando Supremo a Udine, s'incontra con Capello e prende finalmente una posizione più netta nei confronti del suo subordinato escludendogli il criterio della manovra controffensiva e riaffermando il primitivo ordine di sola difesa ad oltranza. Non illustra però un piano del Comando Supremo da contrapporre a quello offensivo del nemico che si sta profilando: niente più manovra, ma solo difensiva pura e semplice sul posto. A questo punto per attuare le disposizioni del Cadorna e modificare l'assetto della II Armata da offensivo in difensivo ad oltranza restano soltanto 5 giorni!
Entrambi i comandanti Cadorna e Capello stanno quindi già subendo l'effetto della sorpresa nemica che li ha completamente spiazzati, poiché in 5 giorni risulterà impossibile non soltanto impostare un piano adeguato alla manovra dell'avversario, ma anche prendere provvedimenti decisivi come rettifiche del fronte e spostamento di riserve. Mancherà soprattutto il tempo per preparare le truppe alla nuova critica situazione che si sta profilando.
L'OFFENSIVA CHE C'ERA
Mentre il comandante della II Armata si trastulla con l'ipotesi di un'eventuale controffensiva e il Comando Supremo ne tollera le disobbedienze e inadempienze, anche perché non crede all'imminenza del pericolo, il nemico sta facendo sul serio e ha preparato una grande offensiva nella valle dell'Isonzo estesa dalla conca di Plezzo fino a Tolmino, che dovrà scattare all'alba del 24 ottobre 1917 contro un settore della II Armata italiana, con l'obbiettivo limitato di respingere gli Italiani al di là della frontiera,21 o magari oltre il Tagliamento.
In dettaglio gli Austriaci si prefiggono di (Cartina 3):
- attaccare nella conca di Plezzo e sfondare in direzione della stretta di Saga per raggiungere Tarcento e l'alto Tagliamento;
- uscire dalla testa di ponte di Tolmino e risalire l'Isonzo fino a Caporetto per impadronirsi della testa della Valle del Natisone e sfondare fino a raggiungere Cividale e Udine;
- conquistare le cime dei monti Jeza, Krad e Kolovrat e cioè la dorsale sulla destra dell'Isonzo tra Tolmino e Caporetto per aver accesso alla valle dello Judrio.
Si dovrà utilizzare la tattica di infiltrazione già sperimentata a Riga,22 preceduta da un poderoso bombardamento d'artiglieria in due fasi: 4 ore di tiro su seconde linee, comandi e retrovie anche con proiettili a gas, e un'ora di tiro di distruzione breve e violento sulle prime linee, seguito dall'assalto delle fanterie. I reparti d'assalto si infiltreranno, lì dove la resistenza nemica cederà, senza preoccuparsi delle spalle e dei fianchi.
Così come concepita questa offensiva deve coinvolgere la sinistra23 (destra per gli Austriaci) della II Armata italiana e cioè il IV C.d'A. (Cavaciocchi), divisioni 50a, 43a, 46a e parte del XXVII (Badoglio) con la 19a Divisione, su una fronte di circa 25 chilometri tra il Rombon e Tolmino (Cartina 2).
Sferreranno l'attacco 12 divisioni, 7 germaniche e 5 austriache (8 per il primo assalto e 4 di riserva) vedi Tabella 1:
- 4 divisioni (3 austriache e una germanica) tra il Rombon e il Monte Nero;
- 4 divisioni (3 germaniche e una austriaca) tra il Monte Nero e il Vodil;
- 2 divisioni germaniche di fronte allo Jeza;
- 2 divisioni (una austriaca e una germanica) di fronte al Krad. L'assalto combinato austro-germanico si svilupperà seguendo 5 punte o direttrici principali (Tabelle 1 e 2 per le forze e Cartina 3 per le direzioni di attacco):
• la punta (Krauss) nella conca di Plezzo contro la 50a Divisione (Arrighi) con obbiettivo la stretta di Saga e la Valle Uccea;
• 2a punta (Krauss) nel settore del Monte Nero contro la 43a Divisione (Farisoglio) con obbiettivo la conca di Drezenca;
• 3a punta (Stein) nel settore Sleme-Mrzli contro parte della 46a Divisione (Amadei) con obbiettivo la piana di Selisce;
• 4a punta (Stein) davanti a Tolmino contro il resto della 46a Divisione (Amadei) e parte della 19a Divisione (Villani) con obbiettivo le rotabili di fondo valle Isonzo, Caporetto e la Valle del Natisone;
• 5a punta (Stein, Scotti e Berrer) davanti a Tolmino contro il resto della 19a Divisione con obbiettivo la dorsale del Kolovrat tra i monti Jeza e Kuk (Cartine 3 e 4), che sovrasta sulla destra la Valle dell'Isonzo, la Valle dello Judrio, e Cividale.
L'IMPROVVISAZIONE REGNA SOVRANA
E I PUNTI DEBOLI RESTANO
Il 21 ottobre, a conoscenza del piano dettagliato d'attacco alle nostre linee portato dai disertori romeni, sia Cadorna che Capello cercano di correre ai ripari, 39 ma la sorpresa sta paralizzando i comandi e la mancanza di tempo crea panico. A causa degli avvertimenti palesi non percepiti dal Comando italiano e di quelli occulti non sufficientemente indagati in tempo utile dal nostro servizio informazioni, l'attacco nemico sorprende in toto le nostre truppe.
"La sorpresa fa trovare il Comando supremo italiano impreparato ad affrontare l'urto nemico; ne paralizza la volontà, rendendolo incapace di prendere quelle misure che avrebbero potuto contenere in modesti limiti le conseguenze della rottura del fronte."40 Così "... tutte le disposizioni date dopo il 21 furono tardive, per questo alcuni reparti e le batterie non giunsero in tempo ai posti loro assegnati, oppure non ebbero agio di orientarsi, di inquadrare i tiri e di fornirsi di munizioni.41
Presa coscienza della direttrice dell'offensiva nemica, Capello raccomanda ancora a Badoglio di controllare adeguatamente la sortita dalla testa di ponte di Tolmino, rafforzando il fondo valle in modo da sbarrarne il transito, e a questo scopo gli mette a disposizione la Brigata Napoli. Ma sia per la mancanza di tempo sia per errate valutazioni tattiche, non si riesce a creare una difesa consistente in questo ben noto punto critico e neppure nella conca di Plezzo.42 Inoltre i comandi, per evitare la confusione dell'ultimo momento, decidono di non procedere neppure con quelle rettifiche che comporterebbero il ritiro delle truppe dalla prima linea per economizzare le forze e dare più consistenza alla difesa. Così i soldati italiani rimangono anche sulle indifendibili posizioni di prima linea delle trincee sotto lo Sleme e il Mrzli e nella pianura di Plezzo.43
Le tardive decisioni dei comandi per raddrizzare la grave situazione oltre a non produrre interventi determinanti per parare l'attacco, provocano danni irrimediabili ancor prima che si scateni l'offensiva nemica: alcune truppe sono assegnate ai corpi e poi tolte, poi di nuovo assegnate per essere ancora una volta tolte, denotando il nervosismo e l'incertezza del comandante della IIa Armata nel tentativo di parare quell'assalto che tutte le truppe percepiscono ormai come imminente. Queste misure affrettate finiscono per provocare disorientamento, stanchezza e sfiducia nei comandi dipendenti e nelle truppe perché si sente che chi comanda non ha in pugno la situazione.44 In questa confusione soldati e comandanti sono presi dall'insicurezza, perché si rendono conto della posizione falsa e fragile in cui vengono a trovarsi, tra un nemico del quale si conosce l'audacia combattiva rafforzata dalla temibile partecipazione germanica, e il vuoto costituito alle loro spalle da un Comando Superiore tentennante, se non assente. 45
Insomma le truppe capiscono di essere abbandonate a se stesse. Ciononostante si battono, e se si arrenderanno sarà per la mancata predisposizione di adeguate posizioni difensive, di ordini precisi e per la sorpresa: non sono state assolutamente preparate all'effetto aggirante della tattica tedesca d'infiltrazione rapida. Ricordiamo che solo pochi giorni prima, nelle due conferenze del 17 e 18 ottobre, ai comandanti di corpo d'armata Capello aveva ancora parlato di controffensiva, da predisporsi partendo dalla conca di Verco sulla Bainsizza (Cartina 1) e non aveva certo preparato i suoi divisionari alla situazione del momento, cioè alla difensiva che richiedeva una tecnica ben diversa. "Alla sera del 23 ottobre lo schieramento delle nostre forze tradiva la sorpresa strategica nella quale era caduto il nostro Comando Supremo. Lo schieramento, infatti, non rispondeva a nessun disegno da parte nostra, né puramente difensivo né controffensivo. " 46
L'assioma espresso da Badoglio nella conferenza del 10 ottobre (l'arte del comando sta per nove decimi nella costanza del controllo) cade quindi nel vuoto perchè nessuno controlla mentre gli ordini si accavallano e cambiano continuamente, non essendoci alcun piano da parte del CS italiano!
Fin dall'inizio dell'anno i Germanici avevano messo a punto la difesa elastica per parare un attacco del nemico, nonché l'assalto per infiltrazione per svolgere un'azione offensiva. I nostri comandi continuarono invece nel "... tentativo d'annientamento del nemico mediante la forza piuttosto che con la manovra."47
Così, nell'impegno di parare l'offensiva imminente, invece di studiare provvedimenti adeguati si continuano ad ammassare uomini aderendo alle richieste dei vari divisionari che, non avendo appunto alcun'idea pratica per contrastare la nuova tattica avversaria di infiltrazione, cercano di cautelarsi alla vecchia maniera: ammassando uomini destinati però ad impinguare il bottino nemico di prigionieri!
In assenza dunque di provvedimenti tattici 'di qualità', che tengano conto della tattica germanica, ecco invece i più importanti provvedimenti 'di quantità' presi dal nostro CS per parare l'emergenza.
DESCRIZIONE DELLA BATTAGLIA DI CAPORETTO
Truppe impegnate complessivamente nel settore della battaglia (Tabella 2): per gli Italiani 116 battaglioni pari a circa 70.000 uomini con 1.200 bocche da fuoco e qualche centinaio di bombarde, per gli Austro-Germanici 115 battaglioni pari a circa 75.000 uomini con 1.800 bocche da fuoco e 300 bombarde. La notte precedente l'inizio dell'offensiva gli Austriaci sono riusciti ad avvicinarsi alle nostre linee ed a concentrare un gran numero di truppe nei punti di irruzione, senza farsi scoprire. Erwin Rommel 52 scrive: "Nella notte del 22-23 ottobre il battaglione si schiera per l'attacco. Potenti stazioni fotoelettriche appostate nelle posizioni italiane sulle alture del Kolovrat e dello Jeza illuminano a giorno la via di accesso.53 Spesso veniamo investiti da nutrite salve d'artiglieria... Tutti abbiamo durante l'avanzata l'impressione di essere entrati nel campo d'azione di un avversario straordinariamente attivo e ben armato e equipaggiato.''54
Il battaglione Rommel è schierato sul pendio nord del Monte Buzenika, quota 510 (Cartina 1), situato a un chilometro e mezzo a sud di Tolmino. Dopo aver raggiunto la posizione "Le poche ore di buio che rimangono devono essere utilizzate fino all'ultimo minuto per scavare e mimetizzare le posizioni... Quando comincia a far chiaro, il pendio sembra deserto. Rannicchiati nelle buche, coperti da rami e ramoscelli, i fucilieri recuperano le ore di sonno perdute."55 Lì dovranno restare per circa 30 ore in attesa dell'attacco.
La battaglia di Caporetto dura 3 giorni, il 24, 25 e 26 ottobre. Durante il primo giorno gli Austro-Germanici operano lo sfondamento delle difese italiane e penetrano per 27 chilometri oltre la linea del fronte. Nei due giorni successivi sfruttano questo successo e costringono il Comando Supremo italiano ad ordinare la ritirata. Alle 2.30 del quarto giorno, 27 ottobre, il generale Cadorna ordina la ritirata al Tagliamento di tutte le truppe della Fronte Giulia, e cioè della IIa e IIIa Armata, e della zona Carnia. Nello stesso giorno gli Austriaci occupano Cividale e sboccano in pianura. Il 28 è occupata Udine. Ma vediamo nel dettaglio il succedersi degli eventi.
24 OTTOBRE, PRIMA GIORNATA GLI AUSTRO-GERMANICI OPERANO LO SFONDAMENTO DEL FRONTE
La notte è cupa e tenebrosa. Al mattino c'è pioggia in basso e nevischio in alto. In fondo valle grava una fitta nebbia. Gli Austro-Germanici hanno predisposto una combinazione di tre mezzi da impiegare preventivamente all'inizio dell'assalto delle fanterie: il massiccio bombardamento di artiglieria con tutti i calibri e con le bombarde, un utilizzo indiscriminato di gas sia per mezzo dei proiettili di cannoni sia con l'emissione diretta attraverso speciali tubi di lancio, e infine lo scoppio di mine sotto determinate posizioni della prima linea italiana. Il bombardamento di artiglieria dura complessivamente quattro ore con l'intesità maggiore diretta sulle seconde linee, le retrovie, gli osservatori ed altri punti vitali. Iniziato alle ore 2.00 e interrotto alle 4.30, riprende alle 6.30 con un fuoco di distruzione che termina tra le 7.30 e le 8.00. Nel primo periodo, tra le 2.00 e le 4.30, sono sparati anche i proiettili a gas. Le mine scoppiano poco prima dell'assalto delle fanterie, che scattano tra le 7.00 e le 9.00. Il bombardamento a gas non provoca molti danni. Il fondo valle si cosparge dei fuochi accesi dagli Italiani per favorire la dispersione del gas. Ma nella conca di Plezzo il bombardamento agisce in modo micidiale per l'utilizzo di un gas particolare: 1.000 tubi alimentati da 2.000 bombole immettono verso le posizioni italiane acido cianidrico ad alta concentrazione contro il quale nulla possono le maschere a gas in dotazione. L'87° Reggimento della Brigata Friuli, 1.800 uomini schierati in ricoveri e caverne, sono sterminati: superstiti 12 ufficiali e 200 soldati. L'88° Reggimento della stessa brigata, schierato più a sud, resta immune.
Le truppe d'assalto austro-germaniche abbandonano le trincee e si portano a ridosso delle posizioni italiane sotto l'arco di tiro delle proprie artiglierie in modo da partire all'assalto appena cessato il fuoco dei cannoni. Tale movimento non è percepito dagli Italiani. La reazione dell'artiglieria italiana è oltremodo scarsa. "Il fuoco italiano contro il nostro avvicinamento e le posizioni di partenza mancò quasi del tutto" dice il Dellmensingen.56
L'assalto delle fanterie nemiche non ha un inizio contemporaneo su tutto il fronte. Il primo attacco è sullo Sleme tra le 6.30 e le 7, negli altri settori si sviluppa fra le 7 e le 9.
Come abbiamo visto nella Tabella 2 e nella Cartina 3, gli attaccanti agiscono con 5 punte.
• Punta 1 (Krauss) nella conca di Plezzo contro la 50a Divisione (Arrighi) con obbiettivo la stretta di Saga e Valle Uccea.
• Punta 2 (Krauss) nel settore del Monte Nero contro la 43a Divisione (Farisoglio) con obbiettivo la conca di Drezenca.
• Punta 3 (Stein) nel settore Sleme-Mrzli contro parte della 46a Divisione (Amadei) con obbiettivo la piana di Selisce.
• Punta 4 (Stein) davanti a Tolmino contro parte della 46a Divisione (Amadei) e parte della 19a Divisione (Villani) con obbiettivo le rotabili di fondo Valle Isonzo, Caporetto e la valle del Natisone.
• Punta 5 (Stein, Scotti e Berrer) davanti a Tolmino contro il resto della 19a Divisione con obbiettivo la dorsale che sovrasta sulla destra la valle dell'Isonzo, la valle dello Judrio, e Cividale. Constatiamo che le posizioni dove gli Austriaci hanno concentrato le maggiori forze sono: Punta 1 nella conca di Plezzo, con 28 battaglioni, e Punta 5 nella testa di ponte di Tolmino, con ben 60 battaglioni. La Punta 5 e la Punta 1 sono quindi da considerare quelle corrispondenti agli attacchi principali. Tuttavia è la Punta 4 quella dove il nemico otterrà il massimo risultato immediato col minimo impegno di forza!
25 OTTOBRE, SECONDA GIORNATA
GLI AUSTRO-GERMANICI SFRUTTANO IL SUCCESSO OTTENUTO
Le operazioni, quasi completamente interrotte nella notte tra il 24 e il 25, riprendono all'alba del 25 ottobre. Sulla dorsale, perduta la linea di difesa ad oltranza dal Krad fino al Passo Zagradan, resta ancora in mano italiana la parte che dal Passo Zagradan volge a occidente e controlla la valle del Natisone con gli importanti caposaldi dei Monti Stol (m 1667), Mia (m 1223), Matajur (m 1643) (Cartina 3) e Montemaggiore (m 1615) (Cartina 2).
"Il giorno 25 è quello in cui matura la crisi dalla quale sarebbe stato possibile uscire con un'energica e coraggiosa decisione."70 Determinante in questa giornata è il cedimento delle divisioni 62a e 3a, costituenti il VII C.d'A. (Cartina 2), quello che avrebbe dovuto impedire proprio lo scollamento tra il IV e il XXVII C.d'A." I Germanici al comando di Rommel si insinuano nello schieramento italiano sull'alto Kolovrat, poi procedono a tergo della Brigata Arno, appartenente alla 62a Divisione del VII° C.d'A. e provocano una falla nella terza linea di difesa, scendendo poi a valle alle spalle dei bersaglieri che tengono Golobi (Cartine 1 e 7). Alle 8.15 cade Costa Duole, alle 9.00 il Napriciar e Volarie, alle 11.00 il Globocak; il Kuk cade fra le 14.00 e le 15.00. Più a sud nel tardo pomeriggio cede il Cicer e attorno alle 18.00 il Monte La Cima. In giornata vengono occupate Golobi, Luico, Perati, Ravne, Pusno e Avsa come pure il Prvi Hum, il Rombon, la vetta del Monte Nero e poco prima di mezzanotte lo Stol è abbandonato per ordine del generale Arrighi (ancora lui!), con i resti della 50a Divisione che ripiegano su Bergogna.
Alle 18.00 circa Capello cede definitivamente il Comando della IIa Armata al Montuori e parte nuovamente per Padova per essere ricoverato in ospedale. Alle 23.30 Cavaciocchi, mentre si sta ritirando da Bergogna a Nimis, è raggiunto dal generale Gandolfi che gli comunica la sua destituzione e rileva il comando.
Nelle prime ore del pomeriggio del 25 Capello s'è incontrato con Cadorna per suggerire la ritirata come unica mossa ineluttabile. Ma Cadorna, dopo aver interpellato i comandi in sottordine che lo hanno illuso circa la possibilità di tenere una nuova linea di resistenza, forse anche perché preoccupato di compromettere la ritirata della IIIa Armata, ordina il ripiegamento solo alle tre divisioni del XXVII° Corpo che si trovavano ancora oltre Isonzo sulla Bainsizza (66a, 22a, 64a). Il risultato della seconda giornata di battaglia è dunque per gli Austriaci il sicuro possesso di tutte le catene montuose che dominano la Valle Isonzo e l'imbocco delle valli Natisone e Uccea.
26 OTTOBRE, TERZA GIORNATA
CADE IL MONTEMAGGIORE
Cinque minuti dopo la mezzanotte del 25 Cadorna emette un nuovo proclama per incitare le truppe a resistere su una nuova linea, imperniata sul Montemaggiore ed estesa fino al Korada e a Salcano nei pressi di Gorizia. Tentativo destinato al fallimento, considerata l'improvvisazione con la quale si cercò di coprire con truppe questa linea, lo stato d'animo delle truppe impegnate e l'estrema vicinanza del nemico incalzante. Gli Austro-Germanici delle punte 4 e 5 una volta raggiunta la testata delle valli che fanno capo a Cividale, iniziano la marcia per raggiungere la pianura friulana (Cartina 3). Nella valle del Natisone avanzano la 12a Divisione Slesiana e una parte della 26a Württemberg della riserva. L'Alpenkorps segue la valle del Rieca, la 200a Divisione e l'altra parte della 26a Württemberg le valli della Cosizza e dell'Erbezzo. L'altra divisione di riserva, la 5a Brandenburg, assieme alla 1a Divisione Austriaca scende per la valle dello Judrio. Gli Austriaci delle punte 1, 2 e 3 avanzano nelle valli Uccea e Resia verso Tolmezzo, l'alta valle del Tagliamento e la Carnia. Seguono la valle del Cornappo per raggiungere Tarcento e San Daniele.
Alle 11.40 cade il Matajur e alle 18.30 anche il Montemaggiore, considerato dal CS perno fondamentale della linea di estrema resistenza.
27 OTTOBRE, QUARTA GIORNATA
LA RITIRATA
Col 27 ottobre ha termine la battaglia difensiva di Caporetto. Cadorna, appresa la caduta del Montemaggiore, ritiene impossibile ogni ulteriore resistenza e tra le 2.30 e le 3.30 del 27 ordina la ritirata di tutte le truppe schierate sul fronte orientale cioè IIa, IIIa Armata e Gruppo Carnia: un milione e mezzo di Italiani tallonati da un milione di Austro-Ungarici si dirigono verso il Tagliamento, ma la ritirata si concluderà soltanto dietro il Piave (Cartina 9). Verso mezzogiorno truppe del generale Berrer entrano in Cividale e nel pomeriggio il CS italiano lascia Udine per Padova. Nella notte non c'è più al di là dell'Isonzo nessun reparto della IIa Armata. La IIIa Armata, che ha iniziato il ripiegamento dal Carso in serata, al mattino del 28 alle 10.30 sarà tutta sulla destra dell'Isonzo, mentre i Germanici occupano Udine.
CONCLUSIONE
Il 24 ottobre presso la località di Caporetto doveva trovarsi la 34a Divisione. Non c'era. La stretta di Foni e il fondo valle sulla destra dell'Isonzo dovevano essere sbarrati dalla Brigata Napoli con due reggimenti (pari a 24 compagnie). C'era una sola compagnia. Il generale Farisoglio alle 15.00 doveva contrattaccare dall'alto i Germanici avanzanti in fondo valle verso Caporetto, ma non effettuò alcun contrattacco. Il VII° C.d'A. doveva sostenere l'ala destra del IV° C.d'A. e la sinistra del XXVII° C.d'A. e doveva contrattaccare. Non sostenne né contrattaccò. La Brigata Puglia rimase inattiva per tutta la mattina del 24 e invece di contrattaccare fu schierata sulla linea d'armata quando i Germanici già se ne stavano impossessando. La poderosa artiglieria in dotazione al XXVII° C.d'A., oltre 700 cannoni, doveva in un primo tempo colpire i nemici e i loro mezzi ammassati e pronti per l'assalto, e successivamente le loro fanterie avanzanti. Quei cannoni non spararono.
L'offensiva austro-tedesca ruppe la Fronte Giulia dell'esercito italiano il 24 ottobre 1917 in un settore compreso tra Tolmino e Plezzo difeso dalla IIa Armata. Questa rottura, a cui fu assegnato il nome del villaggio di Caporetto, fu il risultato di una sconfitta militare vera e propria, e non di 'tradimento' o di 'sciopero militare' come cercarono di far credere i responsabili del disastro: il comandante supremo Luigi Cadorna e i comandanti Luigi Capello della IIa Armata, Pietro Badoglio del XXVII° C.d'A., Alberto Cavaciocchi del IV° C.d'A. e Luigi Bongiovanni del VII° C.d'A.
Il CS italiano affrontò la battaglia dell'ottobre 1917 senza un proprio piano.72 Non possiamo certo definire come 'piano' l'ordine puro e semplice di resistere sul posto, che fece da corollario ai limitati provvedimenti del Comando Supremo elencati nella pagina 290. Mancò da parte italiana la mente direttiva della battaglia. "Parve che tutti, a tutti i livelli di comando, pur nell'affannosa ricerca di porre riparo in qualche modo alla situazione, restassero imbrigliati nel non sapere che cosa si dovesse fare e si potesse fare. E non si può non rilevare... almeno la stranezza del fatto che, a malgrado anche delle comunicazioni intercorse con il comando d'armata, il XXVII° corpo ignorasse del tutto che già alle 10.30 del mattino il nemico aveva risalito -passando proprio entro i limiti del suo settore- l'Isonzo, giungendo a Idersko, alle spalle dello schieramento del IV° corpo."73 Così "... il nemico ottenuto un primo successo, rimase libero di impiegare le proprie forze perché nessuna azione da parte nostra (italiana) valse, non diciamo ad arrestarlo, ma neppure a renderlo guardingo nelle mosse! Da parte italiana la linea di condotta fu caratterizzata dalla passività, dalla subordinazione completa al giuoco del nemico"74 Al momento dell'offensiva nemica nessuno dei nostri comandanti aveva in mano la situazione. Non Cadorna, che privo di un piano subì l'iniziativa avversaria, non Capello ammalato e più assente che presente, non Badoglio, che vagò tutto il giorno senza sapere che cosa stesse avvenendo della sua 19a Divisione, non Cavaciocchi,75 che non riuscì a trasmettere alcun ordine in tempo utile né ai tre divisionari del suo IV° C.d'A. né al VII° C.d'A. in collaborazione con Bongiovanni. Quest'ultimo al mattino del 24 non era al suo posto di comando a Praponizza, ma lontano, a Carraia nei pressi di Cividale.
Emblematico il caso di Badoglio, comandante del XXVII° C.d'A. schierato nel settore del fronte dove avvenne lo sfondamento nemico determinante per la sconfitta e dove 700 cannoni tacquero con sorpresa amara degli Italiani e insperata dei nemici.
Il Comando del XXVII° C.d'A. aveva sede sull'Ostrj Kras, ma la sera del 23 Badoglio non c'era perché si era spostato più indietro in pianura, a Cosi. Essendo troppo lontano, Badoglio rimase 'cieco' per tutto il 24. Attorno alle 10 di mattina, privo di notizie, da Cosi cercò di raggiungere l'Ostrj Kras, ma non andò oltre Pusno, dove arrivò attorno alle 13. Tornato a Cosi per portarsi a Kambresco, a mezzanotte giunse a Liga.76 Per questo continuo peregrinare nessuno riusciva a contattarlo.77 La Brigata Puglie, riserva del Corpo d'Armata, restò quindi senza ordini fino alle 14 quando l'attacco nemico era in corso ormai da sei ore e i Germanici erano a Idersko, a pochi chilometri da Caporetto.78 Alle 16 da Kambresco Badoglio inviò il primo messaggio al Comando della IIa Armata: "Mi risulta che il nemico ha sfondato in direzione conca di Gance (Cartina 6)... Non ho nessuna notizia né della 19a divisione né delle divisioni sulla sinistra... Io mi trovo a... Kambresco. Non ho la possibilità di comunicare con nessuno.
Comunque l'assenza di Badoglio dal posto di comando a Ostrj Kras aveva già prodotto il catastrofico silenzio di tutta l'artiglieria del C.d'A. Se Badoglio voleva impartire personalmente l'ordine di aprire il fuoco, come attesta il colonnello Cannoniere comandante le artiglierie della 19a Divisione, doveva evitare di portarsi fuori mano poiché l'intenso fuoco dell'artiglieria nemica avrebbe potuto interrompere le comunicazioni, isolandolo dal suo C.d'A.
Stupisce il comportamento del generale Capello che, pur avendo l'offensiva nel sangue e la controffensiva sempre in testa, non produsse alcunché. E dire che l'occasione gli era stata offerta proprio dai Germanici marcianti in fondo valle: un comandante pronto proprio lì avrebbe dovuto scaricare un poderoso contrattacco, per bloccare a tutti i costi la marcia di quelle truppe su Caporetto ed evitare la crisi del IV° C.d'A. per l'aggiramento delle sue 43a e 46a Divisione. D'accordo, era assente, ma lui che aveva presagito la manovra nemica nel fondo valle avrebbe potuto lasciare ordini precisi per il contrattacco da sviluppare ad hoc. Il pomeriggio del 28 ottobre 1917 il Comando Supremo emise un bollettino che esordiva: "La mancata resistenza di reparti della IIa armata vilmente ritiratisi senza combattere, o ignominiosamente arresisi al nemico, ha permesso alle forze austro-germaniche di rompere la nostra ala sinistra sulla Fronte Giulia. Gli sforzi valorosi delle altre truppe non sono riusciti ad impedire all'avversario di penetrare nel sacro suolo della patria."80 Ebbene se il bollettino avesse voluto rispettare la realtà degli avvenimenti avrebbe dovuto invece iniziare così: "In seguito a gravi deficienze del Comando Supremo, che ha sottovalutato il nemico e non ha preso in tempo utile i necessari provvedimenti, un'offensiva condotta da reparti austriaci e germanici ha rotto la nostra fronte sul settore di Fronte Giulia tenuto dalla IIa Armata ed è penetrato in profondità dietro le nostre linee..." Dunque sia Cadorna che Capello o non avevano preparato l'esercito o l'avevano preparato male lì dove venne a cadere l'offensiva austro-germanica. Ma il comandante in capo Cadorna non ebbe il coraggio di riconoscere le proprie colpe, che furono determinanti per la sconfitta, e cercò di uscire 'in bellezza' incolpandone le truppe. Aveva già avuto nel 1866 un nobile precursore in La Marmora. Ovviamente ci furono anche responsabilità di altri: quelle del generale Capello, del generale Badoglio e di altri divisionari in quell'armata, ma chi era responsabile della condotta delle operazioni era Cadorna, che come supremo comandante militare doveva risponderne. Invece egli cercò di sottrarsi a questa sua responsabilità come se la resistenza di quelle truppe, che secondo lui non avevano combattuto, avesse potuto evitare la sconfitta che invece fu dovuta esclusivamente a motivi militari: da un lato la validità del piano d'attacco del nemico e l'abilità con la quale fu realizzato, dall'altro l'incapacità del CS italiano e del Comando della IIa Armata di attuare predisposizioni difensive per parare e controbattere efficacemente l'iniziativa avversaria.
In conclusione risulta chiaro che se la battaglia offensiva è stata guidata dai comandi austro-germanici, quella difensiva non è stata guidata da alcuno dei generali italiani.
"Ancora una volta, bisogna ripetere che, nei combattimenti svoltisi il 24 ottobre, i nostri soldati fecero tutto il loro dovere, si batterono, cioè, con tenacia e valore. Gli errori e le colpe furono soltanto di alcuni dei più alti comandi dell'esercito." Invece dopo anni di duri combattimenti e di tremenda usura patita, furono incolpate della sconfitta proprio le truppe, mal comandate e abbandonate ad un tragico ed immeritato destino. Non meritavano che nascesse la leggenda di Caporetto "... che si è diffusa nel mondo: la leggenda che l'indolenza, intesa come sinonimo di vigliaccheria, del soldato italiano sia la nota distintiva di questo evento... Alla sua origine si trovano gli italiani stessi. Prima di tutto un comunicato di guerra che accusava di diserzione alcune unità... Poi l'esagerazione dei fatti, della quale si avvalse l'opposizione per attaccare i propri avversari... Gli italiani non praticano la 'carità di patria' cioè il rispetto per il proprio paese, inutilmente raccomandato da poche persone sagge. Preferiscono dilaniarsi tra di loro e nella lotta divengono ciecamente feroci, giungendo a dare penosissimo spettacolo di sé... Recitino il loro mea culpa taluni italiani, se l'ingiusta leggenda che li degrada corre per il mondo."
Mario Troso
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