lunedì 7 settembre 2015

" Trieste di ieri e di oggi ".

Il Gruppo " Trieste di ieri e di oggi ", grazie al supporto del " Circolo Artistico di Trieste " e del suo archivio, nasce con l'intento di far conoscere e condividere immagini fotografiche, notizie e dipinti di pittori triestini, immagini da stampe, cartoline e quanto altro sulla città di Trieste e il suo territorio, di ogni periodo storico, compresa la fotografia artistica contemporanea. Le vostre foto della " Trieste di oggi ", prima e dopo opere pubbliche, con il passare del tempo diventeranno una documentazione preziosa ed esclusiva delle modifiche del territorio o dei cambiamenti socio-culturali.
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" Trieste di ieri e di oggi "

Il Gruppo " Trieste di ieri e di oggi ", grazie al supporto del " Circolo Artistico di Trieste " e del suo archivio, nasce con l'intento di far conoscere e condividere immagini fotografiche, notizie e dipinti di pittori triestini, immagini da stampe, cartoline e quanto altro sulla città di Trieste e il suo territorio, di ogni periodo storico, compresa la fotografia artistica contemporanea. Le vostre foto della " Trieste di oggi ", prima e dopo opere pubbliche, con il passare del tempo diventeranno una documentazione preziosa ed esclusiva delle modifiche del territorio o dei cambiamenti socio-culturali.
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martedì 25 agosto 2015

Trieste di ieri e di oggi

Nel Gruppo " TRIESTE DI IERI E DI OGGI " troverete : Fotografie, Dipinti, Stampe, Cartoline, Numismatica e Medaglistica, Notizie storiche e molto altro di Trieste e del suo Territorio.
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venerdì 3 luglio 2015

Arturo Rietti, la persecuzione dell'espressione e del pensiero.  L'applicazione delle leggi razziali nelle arti - Mauro Moshe Tabor

Arturo nasce in una Trieste in cui le lingue più disparate si mescolano quasi a creare un lessico comune variegato ed incredibilmente ricco. La famiglia Riettis appartiene alla media borghesia ebraica, il padre è un commerciante affermato di cittadinanza greca mentre la madre appartiene ad una agiata famiglia ebraica triestina. Nel 1863, anno della nascita di Arturo, Trieste è un cantiere a cielo aperto. L’imprenditoria ebraica vede il suo massimo splendore. Gli anni del ghetto e delle segregazioni sono lontani. Le poche famiglie che nel 1696, anno di creazione del Ghetto ebraico di Riborgo vi erano state segregate, sono aumentate notevolmente di numero e continuano ad aumentare quasi esponenzialmente grazie alla azzeccata politica mercantile di Carlo II, portata avanti ed ampliata da Maria Theresia e successivamente dal figlio Giuseppe II. Con la fine del monopolio della Serenissima si apre il sipario sul palcoscenico del golfo di Trieste, il Porto Franco diventa il catalizzatore degli interessi di numerosissime famiglie ebraiche europee che eleggono Trieste a loro dimora. L’ottocento è il secolo della grande metamorfosi di questa città, il piccolo borgo medievale triestino diventa durante il XVIII secolo ma in modo palese durante il XIX una città portuale di grossa importanza e dalle mille potenzialità. Dopo la brevissima dominazione francese, Trieste, nuovamente austriaca diventa il motore di una macchina con la testa a Vienna e le eliche nelle acque del nostro golfo. La Comunità ebraica triestina collabora per tutto il XVIII e fino alla seconda metà del XIX secolo alla costruzione e potenziamento dell’Emporio rimanendo però chiusa nella sua religiosità ed endogamia. La fine del XIX secolo vede invece un brusco cambiamento con un veloce allontanamento dalle tradizioni religiose di una grossa parte dei giovani ebrei triestini che, raggiunto un adeguato livello socioeconomico nonché culturale, sposano cause politiche che li portano automaticamente ad allontanarsi dalla fede dei padri. Gli ultimi decenni dell’ottocento vedono la nascita dirompente del movimento irredentista e nazionalista che diventa in molti casi il “nuovo credo” di una parte dell’intellighenzia ebraica triestina. La trasformazione dell’identità ebraica tra otto e novecento è una delle cose più difficili da spiegare. L’ebreo triestino, ebreo austriaco all’anagrafe, sposando la causa nazionalista italiana smette l’aggettivo “ebreo” ed anche quello “austriaco” e veste con molta disinvoltura quello di “italiano” tout court. Fa propria quindi un’identità culturale e linguistica quale denominazione della sua persona (nella maggior parte dei casi la lingua italiana era acquisita solamente da una o due generazioni).
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domenica 7 giugno 2015

Arturo Rietti a Trieste tra negozi di Belle Arti e gallerie private - Francesca De Bei

Fin dagli esordi Arturo Rietti riuscì a esporre con continuità a Trieste e i suoi progressi furono puntualmente registrati dalla stampa locale, orgogliosa di un pittore che “sempre più rivelava una forte personalità e faceva onore alla sua città natale”. Nonostante frequentasse l’affollato Circolo Artistico cittadino e partecipasse alle sue mostre, organizzate a partire dal 1890, più tardi anche nelle diverse sedi della Permanente, Rietti, come molti artisti triestini a cavallo fra i due secoli, dovette molta della sua fama locale alle botteghe “di quei mercanti del piccolo commercio artistico cittadino” senza la cui mediazione i collezionisti non avrebbero fatto “la gran parte dei loro affari”. Anche a Trieste, come a Venezia e Milano, mostre personali e collettive si tenevano con una certa regolarità nei negozi “di Belle Arti” e negli spazi espositivi temporanei ricavati presso ditte o case d’asta che fornivano una vetrina alle personalità non ancora in vista dell’ambiente cittadino. Tali luoghi, vere passerelle dell’arte che transitava a Trieste e che valeva la pena di acquistare, anticiparono le vere e proprie gallerie private divenendo luoghi di aggregazione e punti di riferimento per gli artisti e i collezionisti, crearono un vero mercato artistico di cui beneficiarono anche le raccolte pubbliche e, con la loro costante attività, lasciarono il segno nel tessuto culturale della città. Tale segno è ben evidente ripercorrendo i successi della bottega Schollian, all’epoca “unico asilo degli artisti triestini che volessero esporre al pubblico qualche opera loro” e, come già affermato nella recente monografia sul pittore[8], prima sede espositiva del giovane Rietti “che veniva di tanto in tanto a Trieste per lasciar qualche gemma”. Pepi Schollian, assiduo frequentatore del Circolo Artistico e padre tutelare degli artisti, era il proprietario del noto negozio di Belle Arti di via del Ponterosso, in cui tutti, fino al 1906, avevano fatto i primi scontri con il pubblico e avevano visto, alle loro esposizioni, una folla che “faceva ressa innanzi al negozio per entrare e per vedere i lavori” dei giovani che erano sulla bocca di tutti. Nell’antro dello Schollian, una “botteguccia d’antiquario e di decoratore, dove s’accatastava una moltitudine di roba d’ogni genere e d’ogni tempo”, si erano succedute, dagli anni Settanta dell’Ottocento, generazioni intere di artisti e, tra di essi, anche il giovane Rietti che, dal 1887 in poi, mise qui in mostra le sue opere. Ricorda infatti Benco che “s’erano serrate le file dei vecchi artisti per sbarrare la strada ad Arturo Rietti, che era uscito dal suo nembo come un astro di singolare splendore; pretendevano non sapesse dipingere se non le teste (ma quali teste!), dimenticando che negli anni più giovani s’era presentato da Schollian una prima volta con impressioni di città nordiche sotto la neve”. L’artista infatti, dopo aver presentato ritratti e piccoli paesaggi, nel luglio del 1888 aveva esposto “tre piccole scenette di città, tre vedute di quei luoghi settentrionali, ove la neve è sempre compagna nell’inverno”. LEGGI TUTTO SU "ARTE RICERCA"

sabato 16 maggio 2015

L’amicizia tra Arturo Rietti e Italo Svevo - Barbara Sturmar

Arturo Rietti, Disegno preparatorio per il Ritratto di Livia Veneziani. Collezione privata
Agli inizi del Novecento «il maestro del ritratto» Arturo Rietti ha già ottenuto numerosi riconoscimenti ufficiali e un discreto successo, tuttavia è assillato da alcune preoccupazioni di carattere finanziario, che tra il 1905 e il 1907 lo inducono a scrivere reiteratamente a Ettore Schmitz alias Italo Svevo. Grazie al matrimonio con Livia Veneziani lo scrittore vive agiatamente a Trieste, lavorando nella ditta dei facoltosi suoceri. Il pittore si sfoga, si confida e condivide con il letterato le amarezze, che in quegli anni avvelenano il suo animo. Svevo legge con attenzione queste missive, risponde puntualmente, dimostra empatia, si rivela comprensivo, sostiene (anche economicamente) l’amico, gli ricorda che suo fratello lo «cerca per certe commissioni [….] importanti.» Rietti definisce i familiari del romanziere gente «di prim’ordine» enfatizzando le dicotomie tra i loro stili di vita e la precarietà contingente della sua situazione: anni vissuti tra Brescia, Milano, Venezia e Trieste, nell’auspicata speranza di riscattarsi da quella fastidiosa indigenza. Tuttavia grazie ai numerosi viaggi la formazione dell’artista è in costante aggiornamento, nel 1903 espone a Vienna, nel 1905 in Inghilterra, inoltre a partire dal 1897 il Maestro è ripetutamente presente alle Biennali di Venezia, dove Svevo lo omaggia con le sue visite «all’Esposizione» e si dispiace perché l’arte non permette a Rietti di ricavare la stessa «felicità» che dona a tutti i suoi fruitori. Parallelamente al Maestro, lo scrittore vive un travagliato periodo artistico: pochi anni prima ha pubblicato a sue spese due romanzi, senza ottenere quel successo che anelava di raggiungere grazie alla letteratura. Tormentato e costretto a guadagnarsi da vivere lavorando indefessamente per la ditta Veneziani, il letterato si sente vittima d’incomprensioni: i suoi parenti acquisiti - inquadrati esponenti dell’ottusa mentalità borghese - considerano il tempo che dedica alla scrittura un’inutile perdita di tempo. Svevo si confida con Rietti. Il 29 agosto 1906 i due amici s’incontrano a Trieste al Cimitero di Sant’Anna, in occasione dello scoprimento del busto marmoreo che ritrae Umberto Veruda, un’opera dedicata al compianto amico a due anni dalla morte da Giovanni Mayer. Rietti e Svevo assistono alla cerimonia e trascorrono parte della giornata insieme: il pittore accompagna l’amico nel suo studio, dove gli fa vedere i suoi lavori; Svevo ne rimane impressionato e li definisce «cose magnifiche». A più riprese lo scrittore dimostra il suo apprezzamento nei confronti del lavoro del ritrattista: ammirando il ritratto di Sybil Sanderson Svevo definì “squisita” l’arte di Rietti, talmente coinvolgente da farlo innamorare e impedirgli di distogliere lo sguardo dall’opera. Ritornando all’incontro del 29 agosto 1906, Rietti sostiene di sentirsi obbligato nei confronti del romanziere, per l’aiuto finanziario che gli aveva concesso un anno prima e che non aveva ancora onorato; Svevo lo rassicura, senza fargli alcuna pressione afferma che solo loro due sono a conoscenza della delicata questione. Probabilmente grazie al clima confidenziale della conversazione, Svevo ripercorre le tappe del suo difficile rapporto con il successo letterario e Rietti si permette di spronarlo, inducendolo ad assumere atteggiamenti propositivi, nonostante le annose occupazioni lavorative. È noto che per pareggiare i conti con l’amico, il Maestro dipinse l’anno successivo il ritratto di Livia Veneziani, moglie di Svevo, opera caratterizzata da una raffinata e vellutata morbidezza della pennellata.
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La letteratura triestina al tempo di Rietti - Cristina Benussi

Biglietto senza data di Giani Stuparich ad Arturo Rietti (fronte e retro). Roma, Archivio Rietti
Di padre greco e di madre triestina, che avevano in comune l'origine ebraica, Arturo Rietti sembra incarnare il paradigma di quel cosmopolitismo sette-ottocentesco di cui la città conserva ancora il mito. Appartenente alla buona borghesia commerciale, è vissuto negli stessi anni di Svevo, sopravvivendogli di un quindicennio, e facendo a tempo a formarsi in quel mosaico culturale aperto a tensioni diverse, che permettevano la compresenza di simpatie irredentistiche e di immersione proficua nella civiltà asburgica. Tra l'acquisizione di una retorica patriottica e insieme l'attenzione verso una cultura mitteleuropea, tra questi larghi e fluidi confini, trovava dunque rifugio una borghesia operativa ed attenta eminentemente ai suoi traffici. Se poeti come Adolfo Leghissa o Riccardo Pitteri continuavano ad essere cantori in versi carduccian/ dannunziani di una romanità e latinità di cui riappropriarsi, e cara fin dai tempi di Rossetti e del suo «Archeografo», altri cominciavano a mettere in dubbio proprio quelle virtù risorgimentali borghesi dell'intraprendenza, della forza, nonché della coesione familiare care ai ceti dirigenti. L'operosità di mercanti e uomini d'affari come erano stati i vari Pasquale Revoltella, Karl Ludwig von Bruck, Guglielmo Sartorio, e tanti altri che avevano reso Trieste polmone dell'economia asburgica, agli occhi di alcuni scrittori mostravano i primi segni di quell'involuzione che avrebbe portato alla guerra. Svevo ne metteva precocemente in dubbio i presupposti, scrivendo Una vita (1892), romanzo interprete del disagio nei confronti di una civiltà patriarcale, con tutti i valori che essa comporta, e nello stesso tempo della difficoltà a rinunciare alle sue comode blandizie. Teso tra Darwin e Schopenhauer lo scrittore d'origine ebraica scopriva che il destino dell'uomo si gioca nello scontro tra le sue due possibili opzioni fisico-caratteriali, lottatore o sognatore, e nella sua capacità di vivere un'esistenza sganciata dai valori borghesi correnti. Quando scriveva Senilità (1898) pensava davvero che l'avvento di una cultura moderna e industriale, spregiudicata e onnivora, avesse messo fuori gioco quel paternalismo e perbenismo di facciata che non poteva più sostenere le richieste di una borghesia variamente stratificata, ma ormai stantia, che si cullava in fuggevoli illusioni di benessere e di progresso. La figura dell'inetto, incarnata da Alfonso Nitti e poi da Emilio Brentani, è portavoce di valori umanitari che vorrebbero disgregare quei rapporti utilitaristico basati sulla reciproca volontà di dominio: è un sogno che illumina il cuore, ma che, seppur realizzato, sarebbe inattuale. Altro ci vuole a muovere la macchina poderosa dell'economia moderna.
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sabato 25 aprile 2015

BUDDHISMO tra ARTE e CULTO - Arte Ricerca

Il Buddismo, nel suo diffondersi dall'India, abbracciando venticinque secoli di storia e decine di culture, rappresenta nel mondo un patrimonio artistico-culturale di incommensurabile varietà e vastità.
Nascita del Buddhismo Il Buddhismo o Buddismo, nasce in India nel VI secolo a.C. (datazione controversa), traendo origine dagli insegnamenti di Siddhartha Gautama, e si basa fondamentalmente sulle Quattro nobili Verità e sull'Ottuplice Sentiero. Più in generale, il termine Buddhismo comprende anche l'insieme di tradizioni, pratiche e tecniche spirituali e devozionali che si sono evolute nei secoli successivi (dall'Hīnayāna al Mahāyāna, poi al Vajrayāna o tantrismo), nel Sud-est asiatico e in Estremo Oriente, dalle differenti interpretazioni dell'insegnamento originario ed assorbendo in sé parecchi elementi induisti (brahmanici, shivaiti, visnuiti, ecc.).
Propagazione del Buddhismo
Il Buddhismo si è diffuso in molti paesi dell'Asia centrale a nord, la Cina, la Corea e il Giappone a est, l'Indocina e l'Indonesia a sud-est, determinando una considerevole unificazione spirituale. Secondo le circostanze storiche di un dato periodo o di una data regione, in questi paesi stranieri il buddhismo ha preso forme differenti, dovute anche all'inevitabile fusione con determinati elementi indigeni, tipici dei paesi che li accoglievano e li assimilavano. Tali trasformazioni o deformazioni della forma «originaria», con elementi del paese straniero, sarebbe in parte dovuta a cattive letture dei testi, al suo carattere tardivo o popolare, o alla necessità di accordare l'insegnamento del Buddha con forme tradizionali locali troppo radicate. Ogni rappresentazione, ogni insegnamento orale o scritto, subisce inevitabili trasformazioni con il tramandarsi da una generazione all'altra, con il mutare delle mode rappresentative, dal migrare da un paese a quelli vicini. Trovandoci al cospetto di un insegnamento vecchio decine di secoli, in qualsivoglia periodo intermedio è stata possibile la riscoperta di tratti e personaggi ormai desueti, stimolando sostituzioni, sovrapposizioni, amalgame e collegamenti, anche senza una preservazione della provenienza geografica o del contesto culturale.
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giovedì 23 aprile 2015

FONTANA ARTE - Franco Deboni

Esterno del negozio Fontana Arte in via Montenapoleone a Milano, 1956 circa.
Fontana Arte rappresenta un unicum nel panorama delle Arti Applicate del XX° secolo, non solo in Italia, ma nel mondo. In un arco di tempo di poco più che un trentennio, divenne la più straordinaria azienda specializzata nell'uso dei cristalli, applicati all'illuminazione e agli arredi, caratterizzati da modernità di concezione ed esecuzione perfetta. Tre sono stati gli artefici di questo straordinario successo, che in qualità di direttori artistici si sono susseguiti alla sua guida: Giò Ponti, cui va il merito di avere, per primo, intuito le enormi potenzialità progettuali del cristallo, applicate ai nuovi sistemi di illuminazione e agli arredi, e specialmente il fatto di avere scoperto il genio creativo di Pietro Chiesa, e di averlo voluto al suo fianco nella direzione della Fontana Arte. Pietro Chiesa, il vero artefice del successo internazionale, uomo di straordinaria cultura artistica, capace di spaziare dal modernismo più all'avanguardia, alla decorazione più pura e raffinata, e creatore di uno straordinario staff di artigiani che fecero della Fontana Arte la loro bandiera, e che furono in grado di realizzare prodotti modernissimi, con criteri di perfezione esecutiva degni della più alta tradizione rinascimentale. Max Ingrand, che entrò alla Fontana Arte in un momento di particolare crisi, dopo la scomparsa di Chiesa e i danni del periodo bellico, e che riuscì a farla risorgere appieno, aggiornando le produzioni e conducendola nel mondo del design, quale oggi noi concepiamo, senza per questo tradire l'eredità di quanti l'avevano preceduto. LEGGI TUTTO SU ARTE RICERCA

venerdì 27 marzo 2015

EVANGELINA ALCIATI (Torino 1883 – 1959).

Evangelina Alciati. Autoritratto (1945). Olio su tela cm 54,5 x 43. Collezione eredi Alciati
Evangelina Alciati nacque a Torino il 21 agosto 1883, da Francesco (ingegnere) e Caterina Silvia Aschieri (discendente da nobile famiglia anconetana). Quando la bambina era ancora piccola venne a mancare il padre, ma ciò nonostante, ricevette un'ottima istruzione, frequentando la scuola femminile «Domenico Berti». Fu proprio in questo Istituto che Evangelina incontrò Carola Prosperi (scrittrice), che così la descrisse: ...conobbi Evangelina Alciati alla Scuola Femminile Domenico Berti, dove si studiava per diventare maestre... Era piccola di statura e graziosa, ma non fragile, sebbene avesse mani e piedi piccolissimi... Aveva i capelli fini come seta, di un castano bruno, molto lisci, e una ciocca le cadeva sempre sulla fronte... Portava la gonna e la camicetta come tutte noi, ma metteva spesso sotto il colletto la cravatta alla Vallière, come portavano allora gli allievi pittori, quelli che chiamavano bohémien.... Conclusi gli studi alla «Domenico Berti», Evangelina si iscrisse all'Accademia Albertina di Torino, sotto la guida di Giacomo Grosso, per conseguirvi il diploma di professoressa di disegno e pittura. All'Albertina, conobbe Anacleto Boccalatte (Torino 1885 - 1970), dalla cui unione, peraltro mai ufficializzata per volontà di Evangelina, nacque Gabriele, nel 1907. Fra il 1903 e il 1906, Evangelina soggiornò in una Parigi artisticamente effervescente, con esiti decisivi per la sua carriera di pittrice. Nel 1908, alla Promotrice torinese, debuttò con Maternità, un dipinto nel quale si nota l'influsso del maestro Giacomo Grosso. Nel 1912, Evangelina Alciati ed Emma Ciardi parteciparono alla Decima Esposizione Internazionale di Venezia: assieme alla Corradini, le due pittrici furono considerate tra le migliori autrici.
Evangelina Alciati. Zucche sul balcone (1942). Olio su carta, cm 86,5 x 85. Collezione eredi Alciati
. Nel 1991, le fu dedicata una retrospettiva a cura della Famija Turinèisa di Torino, accompagnata da un accurato fascicolo di F. De Caria e D. Taverna, ricco di precisazioni biografiche e di inediti (tra cui lettere di G. Mentessi e di F. Ferrazzi). Nel 2014, sull'artista torinese è stato realizzato il film La Libertà allo Specchio. Ritratto di Evangelina Alciati, diretto dal regista Vanni Vallino da un'idea di Mauro Guidetti, con Pamela Villoresi nel ruolo di Evangelina Alciati. LEGGI TUTTO SU ARTE RICERCA

giovedì 26 marzo 2015

FOPPA VINCENZO - Giuliano Confalonieri

Vincenzo Foppa - Madonna del Libro, 1460-1468 circa. Tempera su tavola, 37,5 x 29,6 cm. Milano, Pinacoteca del Castello Sforzesco. Le sue prime opere conosciute sono San Bernardino e la Crocifissione. Foppa si stabilì con la famiglia a Pavia sotto la signoria degli Sforza. Due lavori di questo periodo sono la Madonna che abbraccia il bambino e Madonna del Libro, entrambi esposti al Castello Sforzesco milanese. Nel 1461 l'artista andò a Genova per affrescare una cappella ed un polittico. Fu richiamato da Francesco Sforza per decorare il portico dell'Ospedale Maggiore e lavorare alla Certosa di Pavia, dove riscosse un pagamento per aver dipinto profetis [...] et certis altris figuris nel chiostro grande, opere perdute. Comunque il lavoro più importante del periodo milanese è la Cappella Portinari nella Basilica di Sant'Eustorgio, dove affrescò Dottori della Chiesa, scene della Vita di San Pietro Martire, l'Annunciazione e l'Assunzione. Il ventennio successivo è un succedersi intenso di commissioni. LEGGI TUTTO SU ARTE RICERCA

GUIDO RENI – SEBASTIANO RICCI – MARCO RICCI - Testi di Giuliano Confalonieri

Guido Reni, Autoritratto, 1602-1603 circa. Roma, Galleria di Palazzo Barberini. Guido Reni (Bologna 1575/1642) entrò ventenne all'Accademia dei Carracci per dedicarsi allo studio della pittura antica (fu impressionato dal lavoro di Raffaello e Caravaggio). Tre anni dopo a Roma realizzò importanti commissioni come gli affreschi in Vaticano (Sala delle nozze Aldobrandine e Sala delle Dame) nonché la decorazione al Quirinale (Cappella dell'Annunciata), conclusa quando l'artista era già impegnato nella Cappella Paolina in Santa Maria Maggiore. La Strage degli innocenti eseguita nel 1611/1612 e conservata a Bologna, è probabilmente l’apice espressivo dell'artista, autore anche dell’affresco Aurora e della Pietà.
Sebastiano Ricci, Autoritratto, 1731. Firenze, Uffizi. Sebastiano Ricci (Belluno 1659/Venezia 1734), alla fine del Seicento si trasferì a Bologna e poi a Parma al servizio del duca Ranuccio. Lo studio delle opere del Correggio risalta nella complessa decorazione dell'oratorio della Madonna del Serraglio a Parma. Inviato dal duca a Roma, poté studiare gli esempi della grande decorazione barocca. Nel 1694 andò in Lombardia lavorando a San Bernardino dei morti a Milano e Santa Maria del Carmine a Pavia.
Marco Ricci, Paesaggio con figure, 1720 circa. Venezia, Gallerie dell'Accademia. Marco Ricci (Belluno 1676/Venezia 1730), fu introdotto nel mondo della pittura dallo zio Sebastiano, per il quale dipingeva sfondi con scene di caccia ed episodi di brigantaggio. In Inghilterra, dove era già conosciuto, lavorò per la nobiltà realizzando tele con battaglie e quinte per l’Opera italiana del Queen’s Theatre (dipinti con ‘prove di canto’). LEGGI TUTTO SU ARTE RICERCA

lunedì 23 marzo 2015

Franco Deboni

Nato a Trieste nel 1950, fin da giovanissimo manifesta un grande interesse per l'arte e l'antiquariato. Durante il periodo di studi di Architettura a Venezia, Deboni si appassiona al vetro artistico. In questo ambiente entra in contatto con i più grandi maestri vetrai muranesi, ed in particolare studia le opere di Paolo Venini (1895-1959), il vetraio per antonomasia, il cui design innovativo ha contribuito a diffondere ulteriormente la fama del vetro veneziano nel mondo. Conseguita la laurea a 24 anni, sotto la guida di Carlo Scarpa e inizia l'attività di designer del vetro con particolare riferimento al settore dell'illuminazione. Collabora con la vetreria Ferro-Lazzarini, dove segue per un periodo Albino Carrara, un maestro vetraio veneziano che aveva lavorato con Picasso e Cocteau, dal quale apprende i segreti della soffiatura e della lavorazione del vetro artistico. "Volevo fare l'architetto, ma il destino mi ha condotto per altre vie" dichiarerà confidandosi con gli amici. Ha curato per il comune di Torino la mostra "Vetro Italiano 1920-1940", nel 1989 viene nominato chief consultant per la mostra "The Venetians" svoltasi nella Galleria Karasik di New York. Nel 1989 Allemandi pubblica il suo libro I Vetri di Venini; nel 1997, Murano '900 - Vetri e Vetrai, a cui farà seguito nel 2007 I vetri Venini. La storia, gli artisti, le tecniche, 1921-2007. Molte sono ancora le sue pubblicazioni sulle arti decorative del Novecento in collaborazione con le maggiori riviste d'arte. LEGGI TUTTO SU ARTE RICERCA

domenica 22 marzo 2015

Alessandro Varotari detto il Padovanino - Semiramide chiamata alle armi - Testi di Dario Succi

Semiramide chiamata alle armi. Olio su tela, 134 x 112 cm. Collezione privata. Leggendaria regina assira, Semiramide fu moglie del re Nino, fondatore del regno assiro e costruttore della città di Ninive. Succeduta al marito governò sull'Assiria dall'anno 906 all '809 prima di Cristo. Secondo Erodoto fu una grande sovrana e durante il suo regno conquistò la Media, l'Egitto e l'Etiopia, realizzando spettacolari opere pubbliche come le mura e i giardini pensili di Babilonia, una delle sette meraviglie del mondo antico. Per gli scrittori cristiani medioevali (Giustino, Agostino di Ippona, Dante Alighieri, Boccaccio) Semiramide assurse a simbolo dell'assolutismo pagano, crudele e licenzioso fino all'incesto. Riprendendo lo smagliante colorismo cinquecentesco di Tiziano, Padovanino raffigura Semiramide nelle sembianze di un'avvenente giovane che alla notizia portata dal messaggero della rivolta di Babilonia assume un'espressione assorta distogliendo gli occhi dallo specchio. La composizione si caratterizza per un'eleganza formale e una purezza classica tipica delle opere realizzate verso la metà degli anni venti quando l'artista, come ricordava Rodolfo Pallucchini (1981, p. 102), esegue "un gruppo di dipinti la cui tematica biblica, mitologica e classica a carattere profano è alimentata dall'ispirazione tizianesca, come la maestosa e patetica Giuditta della Gemäldegalerie di Dresda, Cornelia e i figli della National Gallery di Londra, l'Educazione di Amore di collezione privata statunitense, e infine le due eroine dell'antichità classica Lucrezia e Cleopatra in atto di uccidersi, della Gemäldegalerie di Dresda: opere nelle quali è sempre presente il modello della bellezza femminile del primo Tiziano". Nella Galleria Nazionale della Slovenia, Lubiana, si conserva una copia della Semiramide di minori dimensioni e di formato orizzontale che, già attribuita al Padovanino, è stata correttamente assegnata ad un seguace da Federico Zeri (Fondazione Zeri, Bologna, Archivio fotografico n. 57631). LEGGI TUTTO SU ARTE RICERCA

Alessandro Varotari detto il Padovanino - La Madonna con il Bambino e San Paolo apostolo - Testi di Dario Succi

La Madonna con il Bambino e San Paolo apostolo. Olio su tela, 104.5 x 95.5 cm. Collezione privata. Definendo il dipinto "opera splendida di Alessandro Varotari detto il Padovanino", Egidio Martini, in una comunicazione scritta, osserva che l'artista si era ripetutamente ispirato nelle sue opere a quelle del primo Tiziano, interpretandole con modi pittorici del tutto personali: "Così è anche per questa dolce raffigurazione, concepita con uno spirito sereno, come d'altronde lo è similmente la Madonna con il Bambino e la Maddalena dell'Ermitage di San Pietroburgo di Tiziano [Fomichova 1992, n. 256; acquistato a Venezia nel 1850 dalla collezione Barbarigo] dalla quale questa deriva, con la differenza che al posto della Maddalena a sinistra, il Padovanino ha posto San Paolo. Inoltre vi sono, tra l'uno e l'altro dipinto, molte altre varianti, sia nel panneggio che, in questo caso, è tipico del nostro pittore, sia nel modo di intendere il colore che in questa composizione si distingue principalmente per il vivace e bellissimo rosso cinabro, caratteristico di tante sue raffigurazioni, mentre in Tiziano nasce con velature di lacca garanza. Di straordinaria bellezza è il raffinato modo del tutto padovaninesco di modellare la superficie delle carni del Bambino e del soave viso della Madonna; modo che ci ricorda le levigate e delicate forme di alcune altre sue figure femminili". LEGGI TUTTO SU ARTE RICERCA

Alessandro Varotari detto il Padovanino (Padova 1588 — 1648 Venezia) - breve Biografia di Dario Succi

Figlio di Dario Varotari, pittore e architetto operante a Padova nella seconda metà del Cinquecento, Alessandro nacque nella città patavina nel 1588. Tra le sue prime opere, l'Incredulità di San Tommaso — realizzata nel 1610 per la chiesa di San Tommaso Apostolo, dopo essere stata esposta nell'Ottocento agli Eremitani, dal 1959 è nella chiesa di Santa Lucia — si qualifica per il classicismo tizianesco, probabilmente desunto dalla conoscenza degli affreschi della Scuola del Santo e per l'affrancamento dai modelli del tardomanierismo palmesco allora in auge. Nel 1614 Padovanino si trasferì a Venezia, subito dopo partì per Roma dove poté studiare alcune opere di Tiziano, tra cui il Baccanale degli Andrii, opera esemplare del classicismo cromatico della produzione giovanile del maestro cadorino. Nell'Urbe entrò in contatto con le opere di Carracci, Domenichino e Albani, a quel tempo impegnati nel completamento della decorazione della Galleria Farnese, che esercitarono una influenza decisiva su quella visione di classicismo idealizzato destinata a caratterizzare l'intera produzione del giovane artista. Rientrato a Venezia, dove risulta iscritto alla Fraglia dei pittori dal 1615 al 1639 (Favaro 1975, p. 145), Padovanino svolse un ruolo di primo piano nella cultura figurativa veneta con il recupero neocinquecentista in chiave prebarocca. Attivo fino alla metà del quinto decennio, Alessandro Varotari si spense a Venezia nella parrocchia San Pantalon nel 1649. da ARTE RICERCA

Alessandro Varotari detto il Padovanino - Sofonisba con la coppa di veleno - di Dario Succi

Sofonisba con la coppa di veleno. Olio su tela, 81.5 x 106 cm. Collezione privata. Splendido esempio dello stile del maestro, il dipinto, databile alla fine degli anni venti si distingue per la spumosità effervescente della materia pittorica di derivazione tizianesca. La tela raffigura Sofonisba, nobildonna cartaginese figlia del generale Asdrubale di Gisgo, che sposò in prime nozze Siface di Numidia, acerrimo nemico di Roma. Rimasta vedova, Sofonisba si unì in seconde nozze con Massinissa, re africano alleato di Roma. Quando, a seguito di alterne vicende, Roma ordinò a Massinissa di portare la moglie nell'Urbe come ostaggio, la donna, per non sottostare alla imposizione, preferì bere il calice di veleno procuratole dal marito. L'eleganza formale del dipinto si coniuga con l'andamento maestoso della composizione ritmata dai gesti e drammatizzata dalla ripresa dal basso della protagonista, di gusto ormai prebarocco. LEGGI TUTTO SU ARTE RICERCA

venerdì 20 marzo 2015

Gli inizi di Giuseppe Bernardino Bison - Annalia Delneri

Formatosi all'Accademia di Venezia sotto la guida di Costantino Cedini, Bison lavorò inizialmente come pittore di teatro con Antonio Mauro, dal quale apprese i fondamenti tecnici delle esecuzioni rapide e lo spiccato gusto scenografico, destinato a perdurare come elemento caratterizzante della cultura figurativa bisoniana. Nell'ultimo decennio del Settecento collaborò con l'architetto Giannantonio Selva (decorazioni del distrutto palazzo Bottoni di Ferrara [1787] e del "Casino Soderini" di Treviso [1798]) e, all'inizio dell'Ottocento, si trasferì a Trieste, forse a seguito dello stesso Selva impegnato nel concorso per il Teatro Nuovo. Nella città giuliana Bison ottenne commissioni prestigiose, come la decorazione del palazzo della Borsa e del palazzo Carciotti. Fra Trieste, Gorizia, Lubiana e l'Istria, l'artista si impose per la pittura rapida, che coniugava l'eredità dei frescanti veneti del Settecento alle doti di figurista e ornatista, scenografo e paesaggista. Nel 1824 l'Accademia veneziana lo nominò socio onorario con l'encomio di "pittore di bella immaginativa e spiritosa esecuzione". Dopo una permanenza quasi trentennale a Trieste, Bison si trasferì a Milano (1831), dove fu appoggiato, sul piano economico e su quello dell'amicizia, dall'ingegnere Raffaello Tosoni di Cetona, esperto d'arte che fece ottenere all'artista il primo invito alla mostra di Brera (1833). Giuseppe Bernardino Bison, operoso fino agli ultimi giorni, si spense a Milano il 28 agosto 1844.
Questa serie di vedute inedite raffiguranti gli scorci più suggestivi di Venezia e di Roma presenta un grande interesse per la finissima qualità delle opere e per rilevanza scientifica dell'insieme, che documenta la poco nota attività pittorica giovanile di Giuseppe Bernardino Bison (Palmanova 1762 - Milano 1844), l'ultimo grande divulgatore della luminosa stagione della pittura veneziana del Settecento rinnovata dall'artista con sorprendente e inconfondibile vitalità di stile. LEGGI TUTTO SU ARTE RICERCA

GIULIO CARPIONI - Dario Succi

Giulio Carpioni. Il supplizio di Marsia. Olio su tela, 81 x 106 cm. Collezione privata. Giulio Carpioni nasce a Venezia nel 1613 e risulta attivo a partire dal 1630 nella bottega di Alessandro Varotari detto il Padovanino, da cui apprese i canoni del classicismo veneto, avendo come riferimento la tradizione aurea di Tiziano giovane. Aperto alle molteplici suggestioni della cultura contemporanea, l'artista completò la formazione seguendo il maestro nel 1631 a Bergamo, dove scoprì quel sentimento della realtà che era stato proprio ai lombardo-veneti del Cinquecento.
Giulio Carpioni. Bacco, tabacco e Venere, olio su tela, 114 x 135 cm. Collezione privata. Le posizioni mentali della ricerca del vero e delle istanze classicistiche, apparentemente inconciliabili, convivono nell'opera di Carpioni che derivò da Carlo Saraceni e Jean Le Clerc, presenti a Venezia in quegli anni, il gusto di una forma lucidamente intesa, calibrata nella luce ferma, perfettamente in linea con una tensione ideale orientata verso lo stilismo formale più rigoroso.
Giulio Carpioni. Offerta a Venere. Olio su tela, 73 x 98 cm. Collezione privata. Con questo bagaglio l'artista cominciò ad operare autonomamente e nel 1738 si trasferì a Vicenza. Stimolata da una ricerca grafica condotta sugli esemplari di Pietro Testa e di Simone Cantarini e guidata dall'eco dell'opera di Nicolas Poussin, la via del classicismo fu perseguita da Carpioni nella città di Palladio, raggiungendo la piena maturità espressiva negli anni sessanta con quelle "invenzioni ideali, come sogni, sacrificj, baccanali, trionfi, e balli di puttini" ricordati da Pellegrino Orlandi (ed. 1753, p. 311) come "i più belli capricci, che abbia mai inventato altro Pittore". LEGGI SU ARTERICERCA: Il supplizio di Marsia; Bacco, tabacco e Venere; Offerta a Venere.

mercoledì 18 marzo 2015

Pietro Liberi (Padova 1614 - 1687 Venezia) - Allegoria della Pace e della Giustizia - Testi di Dario Succi

Allegoria della Pace e della Giustizia. Olio su tela, 87 x 97 cm. Collezione privata. Il presente dipinto inedito, databile verso la metà degli anni sessanta, costituisce una notevole testimonianza del la lettura "barocca "di Paolo Veronese: animato dal languore nostalgico caratteristico della sensibilità seicentesca, l'artista attinge dal grande maestro l 'intonazione cromatica perlacea per esaltare il seducente aspetto delle figure femminili, impaginate sull'intera superficie della tela. Una pennellata leggera e sfrangiata si sofferma sul panneggio di velo e trine dell'abito della Pace, mentre il colore si fa più corposo nel mantello damascato oro e nella veste rossa della Giustizia. La raffinatezza pittorica culmina nei volti, dove Liberi, come osservava Luigi Lanzi (1795-1796 [1968-1974, II, pp. 143]), riusciva ad esprimersi compiutamente: "L' impasto de' colori è soave, l'ombre tenere e correggesche, i profili spesso derivati dall'antico, il maneggio del pennello franco e magistrale" . LEGGI TUTTO SU ARTE RICERCA

Luca Carlevarijs - Marina con il ponte Rotto e l'arco di Costantino - Dario Succi

Marina con il ponte Rotto e l'arco di Costantino. Olio su tela, 125.5 x 189.5 cm. Rovigo, Accademia dei Concordi (inv. n. 88) Pervenuto all'Accademia dei Concordi nel 1912 a seguito del lascito della contessa Maria Venezze Giustinian, la tela, databile verso il 1711-1712, è caratterizzata dall'inserimento dell'arco di Costantino e del ponte Rotto in un contesto di ampio respiro in cui trovano spazio i consueti motivi del porto di mare sullo sfondo e dei traghettatori in primo piano. «L'abbinamento del ponte con l'ingresso monumentale alla città, costante fin dagli esordi nei porti di mare di Carlevarijs, appare qui particolarmente audace per la disinvoltura con cui viene operato il montaggio di due monumenti così famosi, descritti peraltro con una certa verosimiglianza, e situati in un contesto assolutamente realistico e credibile, a sottolineare l'assoluta arbitrarietà dell'operazione pittorica. (Succi, Reale 1994, p. 218). LEGGI SU ARTE RICERCA

Antonio Canal detto il Canaletto - Venezia, Il molo dal bacino di San Marco - Dario Succi

Il molo dal bacino di San Marco. Olio su tela 53,4 x 70,8 cm. Collezione privata. La veduta, già esposta nelle mostre: Canaletto, una Venecia imaginaria; Titian to Tiepolo; Three Centuries of Italian Art; Da Tiziano a Caravaggio a Tiepolo, reca sul telaio etichette e sigilli che documentano i passaggi, dall'Inghilterra (etichetta dello spedizioniere «J. Chenue – French Packer – IO Great St Andrew Street, Shaftesbury Avenue, London WC») alla Francia (sigillo in ceralacca rossa della galerie Sedelmeyer, Parigi) e alla Svizzera (galerie Giese, Zürich Lintherschergasse 12 bei Hauptbanhof, 1942). L'indicazione più notevole è quella relativa alla galerie Sedelmeyer che fu un importante punto di riferimento per l'arte antica nella capitale francese fra la fine dell'Ottocento e il secolo successivo. LEGGI TUTTO SU ARTE RICERCA

Giulio Carpioni - Il supplizio di Marsia - Dario Succi.

Il supplizio di Marsia. Olio su tela, 81 x 106 cm. Collezione privata. Il tema del supplizio di Marsia deriva iconograficamente da una statua ellenistica, conservata a Roma nei Musei Capitolini e spesso copiata durante il periodo rinascimentale, raffigurante il satiro con i piedi legati ad un albero in atto di essere scorticato. Marsia era un suonatore di flauto, lo strumento inventato da Minerva su cui gravava la maledizione della dea: Apollo, irritatosi per l'orgogliosa abilità musicale del satiro, lo sfidò in una gara — flauto contro cetra — il cui vincitore avrebbe potuto infliggere al perdente qualunque punizione. La giuria, formata dalle Muse, decretò la vittoria di Apollo che, dopo aver legato Marsia ad un pino, lo scorticò vivo. Il mirabile dipinto va annoverato tra i capolavori che Giulio Carpioni eseguì negli anni sessanta nel momento culminante del percorso artistico, quando seppe sapientemente modulare, nella disposizione delle figure classicamente atteggiate in composizioni complesse e turgide, il gioco alterno di ombre e di luci. " LEGGI TUTTO SU ARTE RICERCA

Giulio Carpioni - Bacco, tabacco e Venere - Dario Succi

Bacco, tabacco e Venere. Olio su tela, 114 x 135 cm. Collezione privata. Il presente dipinto, conosciuto anche con il titolo I vizi umani, è una replica del prototipo conservato al Museo Civico di Vicenza, facente parte di una serie di scene di gusto postcaravaggesco comprendente due varianti sul tema del Gioco d'azzardo (una già in una collezione privata bolognese; l'altra in una collezione privata veronese) e la Allegoria del Tempo di collezione privata veneziana (Pallucchini 1981, II, figg. 653-656). Questi dipinti, databili agli anni trenta, sono ispirati ai modelli di eleganza neocinquecentesca "che il Carpioni fa scendere dal trono di aulicità del Padovanino, mischiandola ad una umanità caratterizzata secondo la moda naturalistica importata a Venezia dal Saraceni e dal Renieri. Una luce fredda scivola sulle superfici setacee delle vesti che si rapprendono in pieghe dense, come bagnate dall'acqua. LEGGI TUTTO SU ARTE RICERCA

martedì 17 marzo 2015

LEONARDO, PALLADIO E L'ARCHETIPO GEOMETRICO DELLA QUADRATURA DEL CERCHIO

Il famoso disegno di Leonardo da Vinci custodito a Venezia presso le Gallerie dell’Accademia, noto come L’uomo vitruviano, esprime l’ideale delle perfette proporzioni del corpo umano e al contempo registra la “fatale irruzione” di un’immagine archetipica. Esso richiama, nella correlazione armonica con le figure del quadrato e del cerchio, alcuni archetipi geometrici universali. È stato giustamente notato come in questo caso affiori la teoria alchemica del microcosmo e macrocosmo, per cui l’homo ad circulum e l’homo ad quadratum del De architettura di Vitruvio possono sovrapporsi (Elettrico). Riprendere Vitruvio, peraltro, vuol dire accogliere la sua concezione dell’ars muratoria, fondata sull’armonia delle proporzioni e sulla corrispondenza tra la natura e le costruzioni architettoniche: un’armonia insita nelle forme naturali che si riverbera in quelle ideate dalla mente umana. LEGGI TUTTO SU ARTE RICERCA

Leonardo da Vinci - Trattato della pittura

Del primo principio della scienza della pittura. Il principio della scienza della pittura è il punto, il secondo è la linea, il terzo è la superficie, il quarto è il corpo che si veste di tal superficie; e questo è quanto a quello che si finge, cioè esso corpo che si finge, perché invero la pittura non si estende più oltre che la superficie, per la quale si finge il corpo figura di qualunque cosa evidente. L. da Vinci, Trattato della pittura (Biblioteca Vaticana, Codice Urbinate lat. 1270, 31 v.). Agli inizi del Cinquecento, Leonardo Da Vinci, prototipo universale dell'artista scienziato, ha già completato gli scritti del Codice Vaticano Urbinate 1270, anche noto come Libro di pittura, o Trattato della pittura di Lionardo da Vinci. Il Trattato, un'opera composita, compilata postuma da uno o più allievi, contiene vari precetti, teorie e appunti in cui vengono enunciati i principi filosofici e ideali della pittura. Per Leonardo, la pittura è scienza - equiparandola alle arti speculative quali filosofia, poesia e teologia, vi applica le discipline matematiche e geometriche - conduce il lettore nell'esercizio della "filosofia del vedere", cioè nel cogliere la Natura tramite l'osservazione di quei fenomeni fisici, matematici e geometrici che ne determinano la percezione visiva. LEGGI TUTTO SU ARTE RICERCA

Leonardo da Vinci - Tavola cronologica della vita di Leonardo

1452 - Leonardo nasce ad Anchiano (Vinci), il 15 aprile, figlio naturale del notaio Piero di Antonio e di non meglio identificata Caterina, contadina. 1457 - Nella dichiarazione per il catasto di Vinci, il nonno Antonio dichiara che con lui e con la moglie Lucia, di anni 64, convive Lionardo, figlio non legittimo del figlio Piero. 1469 - In questo anno Leonardo risulta già nella bottega del Verrocchio quale apprendista. 1472 - È iscritto nella Compagnia di San Luca dei pittori. A partire da questa data sono da collocarsi le sue prime opere: apparati per feste e tornei, un cartone per arazzo (distrutto) e i dipinti di incerta datazione. 1473 - Data (5 agosto) il disegno con il Paesaggio della valle dell'Arno (Firenze, Uffizi). 1475 - Dipinge l'Annunciazione. 1476 - Risulta ancora abitare presso il Verrocchio. Assieme ad altre persone viene accusato di sodomia. Viene assolto dall'accusa. 1478 - Riceve l'incarico di eseguire la pala d'altare per la cappella di San Bernardo nel Palazzo della Signoria. Nello stesso anno afferma di avere eseguito due dipinti della Vergine, uno dei quali è identificato con la Madonna Benois. 1480 - Secondo l'Anonimo Gaddiano, lavora per Lorenzo de' Medici. 1481 - Contratto per l'Adorazione dei Magi. 1482 - Si trasferisce a Milano lasciando incompiuta l'Adorazione dei Magi. 1483 - A Milano stipula il contratto per la Vergine delle rocce assieme a Evangelista e Ambrogio de' Predis. Nasce a Urbino Raffaello. 1487 - Pagamenti per i progetti per il tiburio del Duomo di Milano. 1489 - Realizza degli apparati provvisori per festeggiare le nozze tra Gian Galeazzo Sforza e Isabella d'Aragona. Nello stesso anno hanno inizio i preparativi per la statua equestre in onore di Francesco Sforza. 1491 - Entra al servizio di Leonardo Gian Giacomo Caprotti da Oreno, detto Salaì, di anni dieci. 1492 - In occasione del matrimonio tra Ludovico il Moro e Beatrice d'Este, disegna i costumi per il corteo di sciti e di tartari. 1494 - Presiede i lavori di bonifica per una tenuta dei duchi, presso Vigevano. Inizia il Cenacolo. 1495 - Inizia la decorazione dei camerini del Castello Sforzesco. Viene citato come ingegnere ducale. 1497 - Il duca di Milano lo sollecita a portare a termine il Cenacolo, probabilmente concluso alla fine dell'anno. 1498 - Completa la decorazione della Sala delle Asse nel Castello Sforzesco. 1499 - In compagnia di Luca Pacioli, lascia Milano. E' prima a Vaprio, presso Francesco Melzi, poi a Mantova esegue due ritratti di Isabella d'Este. 1500 - Giunge a Venezia a marzo. Rientra a Firenze e trova alloggio presso il convento dei Serviti alla Santissima Annunziata. 1502 - Entra al servizio di Cesare Borgia come architetto e ingegnere generale, seguendolo nelle sue campagne militari in Romagna. 1503 - Ritorna a Firenze dove, secondo il Vasari, esegue la Gioconda e la Leda. Elabora progetti per la deviazione dell'Arno durante l'assedio di Pisa. La Signoria lo incarica di dipingere la Battaglia di Anghiari. 1504 - Continua a lavorare alla Battaglia di Anghiari. È chiamato a far parte della commissione che deve decidere la collocazione del David di Michelangelo. 1506 - Ritorna a Milano. 1508 - Vive a Firenze e poi ritorna a Milano. 1509 - Studi geologici delle valli lombarde. 1510 - Studi di anatomia con Marcantonio Torre all'Università di Pavia. 1513 - Si trasferisce a Roma, dove alloggia in Vaticano, nel Belvedere, sotto la protezione di Giuliano de' Medici. Esegue studi matematici e scientifici. 1514 - Esegue progetti per il prosciugamento delle paludi pontine e per il porto di Civitavecchia. 1516 - Si trasferisce ad Amboise, alla corte di Francesco I di Francia. 1518 - Partecipa alle celebrazioni per il battesimo del Delfino e per il matrimonio di Lorenzo de' Medici con una nipote del re. 1519 - Il 23 aprile redige il suo testamento, nominando esecutore testamentario il pittore e amico Francesco Melzi. Muore il 2 maggio. LEGGI SU ARTE RICERCA

LEONARDO DA VINCI - Lo straordinario messaggio di Leonardo nel disegno dell'uomo vitruviano, custodito alle Gallerie dell'Accademia di Venezia - Silvia Gramigna

Leonardo da Vinci, Le proporzioni del corpo umano secondo Vitruvio. Venezia, Gabinetto dei Disegni delle Gallerie dell'Accademia, cat. n. 228, punta metallica, penna e inchiostro, tocchi di acquerello su carta bianca, 344 x 245 mm. Un cerchio, un quadrato e, al centro, un'emblematica figura d'uomo. Chi non conosce questo straordinario disegno delle Gallerie dell'Accademia di Venezia, noto come L'uomo vitruviano, di Leonardo da Vinci? Lo si incontra molte volte caricato dei più disparati significati: negli ambienti scientifici, nelle università, nelle palestre, sui frontespizi dei libri, persino su capi di abbigliamento... si può dire che esso sia negli ultimi anni stato assunto quale simbolo della civiltà occidentale. Tra pochi mesi poi il disegno diventerà familiare proprio a tutti perché lo vedremo riprodotto sulla moneta da un euro coniata dall'Italia. È forse il disegno più famoso del mondo. A che cosa si deve tale diffusione? Non certo al nome altisonante dell'autore, né tantomeno alla qualità esecutiva, anche se altissima. Vi sono altri disegni importanti di Leonardo, molto suggestivi e di qualità forse superiore al nostro... Nemmeno il soggetto raffigurato, le ideali perfette proporzioni del corpo umano secondo le indicazioni fornite da Vitruvio, risulta essere di grande interesse per l'uomo moderno. Inoltre, in altri disegni Leonardo ha trattato il tema dell'anatomia e delle proporzioni senza tuttavia raggiungere gli esiti di questo disegno. Certamente, la fortuna di un'opera ha motivazioni molto complesse e, a volte, misteriose, ma vorrei proporre una riflessione critica in chiave filosofica alla luce della quale l'opera assume un significato nuovo e quantomai profondo. LEGGI TUTTO SU ARTE RICERCA

La Serenissima nello Specchio di Rame - Dario Succi. L'opera completa dei grandi maestri veneti, Splendore di una civiltà figurativa del Settecento.

La Serenissima nello Specchio di Rame. L'opera completa dei grandi maestri veneti, Splendore di una civiltà figurativa del Settecento. 2 volumi a cura di Dario Succi. Due volumi cartonati di grande formato, veste grafica accuratissima, 980 pagine, 1340 schede di altrettante opere, 1500 immagini con dettagli anche a piena pagina. L’opera, che è frutto di un trentennio di ricerche, colma una lacuna su quello che fu il secolo d’oro di uno straordinario universo di immagini incise, finora non adeguatamente valorizzato perché oggetto di studi frammentari, diluiti in un arco di tempo plurisecolare, dispersi su riviste specializzate e contributi monografici di non facile reperibilità. I cataloghi ragionati di ventidue grandi maestri (Luca Carlevarijs, Marco Ricci, Michele Marieschi, Antonio Canal detto Canaletto, Bernardo Bellotto, i tre Tiepolo, Jacopo Amigoni, Sebastiano Ricci, Francesco Fontebasso, Alessandro Longhi, Gaetano Zompini, Gianfrancesco Costa, ecc.) sono integrati da una selezione delle serie più significative di dodici fra i migliori incisori di riproduzione (Francesco Bartolozzi, Davide Fossati, Antonio Visentini, Giambattista Brustolon, Giovanni Volpato, Giuliano e Marco Sebastiano Giampiccoli, Dionisio Valesi, Francesco Zuccarelli, Antonio Sandi, Teodoro Viero). Di ogni incisione, accuratamente riprodotta, vengono descritti tutti gli stati conosciuti, precisando le dimensioni, la tecnica esecutiva, la datazione, l’eventuale esistenza di dipinti o disegni corrispondenti. La catalogazione delle stampe (1340 schede, 1500 immagini con dettagli anche a piena pagina, come si è già detto) scorre all’interno di una visione panoramica che consente di seguire la nascita, la straordinaria fioritura, il lento declino di una civiltà espressiva che ha contribuito in maniera determinante, con la larghissima diffusione internazionale, all’esaltazione della gloria di Venezia e della Repubblica Serenissima. I capitoli, ordinati cronologicamente, sono suddivisi seguendo un filo conduttore che valorizza artisti e generi tematici: vedute di Venezia, delle isole lagunari, della Riviera del Brenta, del territorio prealpino, di città italiane ed europee; riproduzioni di dipinti storici, religiosi, allegorici e mitologici; ritratti di artisti, santi e letterati; fantasiose teste di carattere, capricci di paesi e di rovine; le delizie della villeggiatura, le stagioni, i mesi, la caccia in valle, i mestieri ambulanti; le feste dogali,il carnevale e le sagre popolari; la vita in maschera nei caffé, nei palazzi e nei casini. Strumento prezioso per studiosi, collezionisti, antiquari, questa pubblicazione può coinvolgere tutte le persone sensibili al fascino dell’arte e della storia di Venezia.
“La Serenissima nello specchio di rame. Splendore di una civiltà figurativa del Settecento. L’opera completa dei grandi Maestri veneti” Due volumi cartonati 24 x 30 cm con sovracoperta e cofanetto. 980 pagine totali, 1340 schede, 1500 immagini. VEDI TUTTO SU ARTE RICERCA

Dario Succi - Biografia

Dario Succi è nato a Cividale del Friuli nel 1940 e risiede a Meduna di Livenza (TV). Laureatosi all'Università di Pisa, si è specializzato nello studio della pittura e dell'incisione veneziane dal Seicento all'Ottocento. Recentemente ha curato, con A. Delneri, i cataloghi delle mostre: Canaletto, una Venecia imaginaria nelle sedi espositive del Museo Thyssen-Bornemisza, Madrid e del Centre de Cultura Contemporania, Barcellona, 2001), Da Canaletto a Zuccarelli, il paesaggio veneto del Settecento allestita nella magnifica residenza di campagna di Ludovico Manin, ultimo doge della Repubblica di Venezia (Villa Manin di Passariano, Udine 2003). È autore di vari libri, tra cui Venezia nella felicità illuminata delle acqueforti di Antonio Visentini (Treviso 1984), Isolario Veneto (Treviso 1985), Francesco Guardi, itinerario dell'avventura artistica (Milano 1993) di cui è stata pubblicata una edizione francese (Parigi 1995). Luca Carlevarijs e la veduta veneziana del Settecento (Palazzo della Ragione, Padova 1994), Canaletto et Bellotto (Musée Jenish, Vevey 1994), Von Canaletto bis Tiepolo (Anhaltische Gemäldegalerie, Dessau 1995), Bernardo Bellotto detto il Canaletto (Villa Morosini, Mirano 1999). Insieme a Rainer Michael Mason, André Corboz e Annalia Delneri ha collaborato alla mostra Une Venise imaginaire. Architectures, vites et seines capricieuses dans la gravure vénitienne du XVIII° siècle (Cabinet des Estampes, Musée d'Art et d'Histoire, Ginevra 1991), con Gertrude Borghero a Alito e Fascino di Venezia nelle vedute del Settecento (Stifttrog Langmatt, Baden 1994), con Mina Gregori e Pietro Zampetti, a quella su Antonio Francesco Peruzzini (Mole Vanvitelliana, Ancona 1997); con Rainer Michael Mason e Christophe Cherix a Les Tiepolo peintres graveurs (Musée d'Art et d'Histoire, Ginevra, 2001). Negli ultimi alali ha curato (con Annalia Delneri) i cataloghi delle mostre Canaletto, una Venezia immaginaria (Museo Thyssen Bornemisza, Madrid; Centre de Cultura Contemporania, Barcellona). Nel 2013 ha visto la luce la monumentale opera in due tomi La Serenissima nello specchio di rame. Splendore di una civiltà figurativa del Settecento. L'opera completa dei grandi maestri veneti (Crocetta del Montello). Nel 2015 ha pubblicato Il fiore di Venezia - dipinti dal Seicento all'Ottocento in collezioni private. LEGGI SU ARTE RICERCA

Pietro Liberi (Padova 1614 — 1687 Venezia) - Il Tempo scioglie la verità - Testi di Dario Succi

Il Tempo scioglie la verità. Olio su tela, 201 x 150.5 cm. Collezione privata. Nato a Padova il 15 aprile del 1614, Pietro Liberi, dopo una prima formazione presso il Padovanino, trascorse una giovinezza avventurosa, passata tra combattimenti contro i turchi e viaggi in Europa: imbarcatosi per Costantinopoli nel 1628, fu fatto schiavo e portato a Tunisi da dove fuggì per Malta. Nel 1633 sbarcò in Sicilia e quattro anni dopo partì per Lisbona, soggiornando anche in Spagna e in Francia. La sua vocazione artistica si consolidò a Roma (1638-1641) con la frequentazione della bottega di Pietro da Cortona. Il successivo soggiorno toscano (Siena, Firenze) lo pose a contatto con esperienze diverse, dal misticismo di Cesare Dandini al classicismo di Guido Reni, ma fu con il definitivo trasferimento a Venezia (1643) che l'artista si indirizzò definitivamente verso una reinterpretazione, di fulgida carnalità, del cosmo decorativo di Paolo Veronese. Egidio Martini, in una comunicazione scritta, interpretando il soggetto allegorico come Il Tempo incatena la Bellezza, ha sottolineato l'altissima qualità pittorica "realizzata attraverso una composizione e un movimento delle masse ben equilibrato e armoniosi e, ancora, attraverso un colore trasparente e chiaro che rende l 'insieme, pur nella monumentalità della composizione, leggero e sereno ". L'importante dipinto, che nel 1934 si trovava presso Malmede a Colonia, è una variante autografa della grande tela, firmata, passata in vendita presso Semenzato, Venezia (26 febbraio 1989, n. 116; 274 x 172 cm) resa nota da A. ed E. Martini (1959, p. 28; 1982, p. 465, nota 9) la quale, secondo Ugo Ruggeri (1996, P 117), rappresenta una Allegoria del Tempo e della Verità che gli porge il simbolo dell 'Obbligo verso di sé e gli altri. Pubblicando il presente dipinto, Fabrizio Magani (1989, pp. 45-48) lo considerava come prototipo, quindi cronologicamente anteriore all'altra versione. LEGGI TUTTO SU ARTE RICERCA

Giulio Carpioni (Venezia 1613 — 1679 Verona) - Offerta a Venere - testi di Dario Succi.

Offerta a Venere. Olio su tela, 73 x 98 cm. Collezione privata. Nato a Venezia nel 1613, Giulio Carpioni risulta attivo verso il 1630 nella bottega di Alessandro Varotari detto il Padovanino, da cui apprese i canoni del classicismo veneto, avendo come riferimento la tradizione aurea di Tiziano giovane. Aperto alle molteplici suggestioni della cultura contemporanea, l'artista completò la formazione seguendo il maestro nel 1631 a Bergamo, dove scoprì quel sentimento della realtà che era stato proprio ai lombardo-veneti del Cinquecento. Opera della piena maturità, lo splendido dipinto interpreta il soggetto mitologico trasponendo la tematica in una favola prearcadica. Nell'aria immobile di un paese sognato, le figure intarsiate nell'azzurro cobalto del cielo si dispongono nello spazio aperto della radura: ignare del tripudio festante dei putti, le algide membra delle ninfe sono modellate dall'incidenza della luce, bloccata sullo smalto della forma splendente.
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lunedì 16 marzo 2015

IL FIORE DI VENEZIA - dipinti dal Seicento all' Ottocento in collezioni private - a cura di Dario Succi.

Tre secoli di pittura veneta:, una raffinata scelta del gusto collezionistico internazionale. Mentre il collezionismo del Cinquecento era stato prevalentemente mirato alla costituzione di un gabinetto in cui riunire ed esporre, senza precisi criteri selettivi, reperti archeologici, antichità del mondo greco-romano, oggetti rari ed esotici, cammei e medaglie, nel corso del Seicento si sviluppa a Venezia, in maniera rapidamente crescente, la formazione di quadrerie collocate negli ambienti più rappresentativi del palazzo di famiglia. Ricoprire interamente le pareti del portego o del Cameron grande con dipinti dei maestri del Cinquecento costituiva, per il patriziato veneziano e la facoltosa borghesia emergente, un mezzo per affermare la qualità del proprio rango sociale. Affievolitasi la committenza statale, sono soprattutto i nuovi nobili ad assumere il ruolo di mecenati chiamando gli artisti più in voga a celebrare i fasti della famiglia con affreschi magniloquenti. Nel Settecento emergono figure di raffinati collezionisti e di finissimi conoscitori, da Zaccaria Sagredo (1653-1729), che aveva riunito una ricchissima collezione di disegni e di stampe, ad Anton Maria Zanetti il Vecchio (1680-1767) che, fine incisore lui stesso, seppe creare un fitta rete di relazioni con eminenti collezionisti europei, dal banchiere parigino Pierre Crozat ai conti di Carlisle che, nella splendida country house di Castle Howard, nello Yorkshire, erano riusciti a costituire - dopo quella di Joseph Smith - la più importante collezione europea di vedute veneziane del Settecento con quaranta splendidi dipinti di Canaletto, Bellotto, Marieschi e Cimaroli. Figura di rilievo tra gli intellettuali conoscitori, Francesco Algarotti (1712-1764) ricevette l 'incarico di redigere un ambizioso progetto per la costituenda Galleria dresdense di Augusto III, principe elettore di Sassonia e re di Polonia. Spettò a due facoltosi stranieri residenti a Venezia, Joseph Smith (1664 c.-1770) e Matthias von der Schulenburg (1661-1747) svolgere un ruolo protagonistico nel collezionismo veneziano del XVIII secolo. Il console inglese, principale patron di Canaletto, radunò nella residenza sul Canal Grande ristrutturata da Antonio Visentini e nella villa di Mogliano, una spettacolare collezione (dipinti, disegni, gemme e miniature) destinata ad essere venduta nel 1762 al re d 'Inghilterra. Il maresciallo Schulenburg, comandante in capo delle armate della Serenissima, riuscì ad allestire nel giro di un ventennio, a partire dal 1724 quando aveva più di sessanta anni, una imponente Galleria composta da mille dipinti di autori antichi e contemporanei, meticolosamente descritti in una serie di inventari continuamente aggiornati. Verso la fine del Settecento, spettò al ricchissimo Girolamo Manfrin, di umili natali, disprezzato dai nobili invidiosi per essere " in mezzo al fango e dalla merda nato", radunare nel palazzo sul rio di Cannaregio una innovativa raccolta di carattere storico "come omaggio alle vette toccate dalla pittura veneziana, chiusa, non ordinata in base alle concezioni estetiche del singolo ma rispondente a scelte programmate che rispondono ai bisogni di un 'intera comunità, strumento di formazione culturale dei cittadini sotto l' influsso dei nuovi indirizzi culturali.
Luca Carnevarijs, Piazza San Marco verso la Basilica, collezione privata.
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domenica 15 febbraio 2015

Due artisti del 600/700: Frans Hals e Thomas Gainsborought - Testi di Giuliano Confalonieri

L’olandese Hals (1582/1666) era esperto nel ritrarre la gente (donne, ragazzi, bevitori). Infatti molti popolani gli diedero l’incarico di eseguire il proprio dipinto, soprattutto in pose dinamiche. Dopo essersi formato alla scuola manierista, divenne un virtuoso nella manipolazione dei colori. Iniziò la carriera (della quale sono rimasti oltre 200 quadri) prediligendo uno stile fatto di pennellate rapide. Il suo primo dipinto risale al 1611. Nella scelta degli ambienti preferiva la luce diurna con i riflessi del sole. Leggi tutto su "ARTE RICERCA".

Giuseppe Sacheri (Genova 1863 – Pianfei 1950). Testi di Flavio Bonardo

La montagna e il mare sono da sempre per l’uomo, percorsi di sfide. Salire su di una vetta (inviolata oppure no) superare una parete di sesto grado superiore, compiere una traversata in solitaria sfidando venti e onde, attraversare a nuoto un infido tratto di mare, procura a chi si cimenta una scarica di adrenalina difficilmente quantificabile. La compianta Monica Vitti scrisse: “Con il mare ho un rapporto travolgente, quando lo vedo muoversi, impazzire, calmarsi, cambiare colore, rotta, è il mio amante”. Per Giuseppe Sacheri si può veramente affermare che il mare per Lui fu un amante, inseguito a lungo per i porti di mezza Europa e col quale ha avuto relazioni a volte impetuose a volte tenere e dolcissime. Leggi tutto su "ARTE RICERCA"

Sansovino: Andrea Contucci (1460/1529); Jacopo Tatti (1486/1570) - (scultori e architetti). Testi di Giuliano Confalonieri

ANDREA CONTUCCI Le prime notizie sull’artista riportano la sua collaborazione a Roma con Antonio Pollaiolo. Iniziò la carriera nella chiesa fiorentina di Santo Spirito e nel Duomo di Fiesole per poi spostarsi in Portogallo. A Volterra realizzò la fonte battesimale, a Genova la Madonna della cattedrale. Nei primi anni del Cinquecento eseguì a Roma alcune tombe in Santa Maria del Popolo per conto di Giulio II. Dal 1513 fu soprintendente alla fabbrica della Santa Casa di Loreto. JACOPO TATTI Partecipò ai concorsi per il Mercato Nuovo e per la Basilica di San Giovanni Battista dei Fiorentini a Roma, bandito da Leone X nel 1514, al quale partecipò anche Raffaello. Il suo secondo periodo romano è distinto dallo sviluppo dello stile verso una maggiore imponenza come nella Madonna del Parto. Ristrutturò le cappelle distrutte da un incendio e creò il Palazzo Lante, che segna la prima opera dove il suo stile diventa evidente. Leggi tutto su "ARTE RICERCA".

Jean Michel Basquiat / Benjamin Clementine. Testi di Matteo Gardonio Ducrocq

Non poteva che essere un cantautore e musicista l’erede di Basquiat. Al di là della somiglianza fisica, è nella ricerca dei due che si sente immediatamente quella sottile linea di fuoco che li unisce. Mentre uno moriva, l’altro stava per nascere. Mentre l’uno gridava per l’ultima volta, l’altro stava per emettere i primi vagiti. Quando si ascolta Benjamin arriva immediata anche l’altra anima, quella di Basquiat “io non penso all’arte quando lavoro. Io penso alla vita”. Primitivismo, graffitismo, cromatismo, ma anche sussurri, frasi all’orecchio, parole d’amico della strada valgono per Basquiat come per Benjamin. Entrambi cresciuti dalla e sulla strada, ma non – fortunatamente – da figli della Beat Generation quanto venati da una malinconia romantica, più Hemingway che Ginsberg. Sofisticati e aggressivi, diretti e complicati, i due mescolano carte di una importante tradizione del proprio mezzo espressivo... LEGGI TUTTO SU "ARTE RICERCA".

Carlo Giuseppe Montani (Genova 1863 – Pianfei 1950) - testi di Flavio Bonardo

La città di Saluzzo che si affaccia al Monviso, fu per circa quattro secoli (1175 – 1548) la Capitale di un Marchesato indipendente che si estendeva tra le province di Cuneo e di Torino con lingue estreme ora in territorio francese e conserva ancora oggi tra le sue mura, nobili e ricche testimonianze di quel lontano passato. Lì, Carlo Giuseppe Montani vi nacque il giorno 8 novembre 1868 e a Saluzzo compì i suoi primi studi dimostrandosi brillante ma irrequieto. Per il suo carattere dirompente e smanioso di fare e agire la “Firenze del Piemonte” (com’è appellata per il fascino del suo centro storico) Saluzzo gli stava stretta e fu così che si trasferì a Torino. Nella Capitale Sabauda compì altri studi che gli permisero di partecipare ad un concorso che vinto gli aprì le porte a segretario dell’amministrazione centrale della Pubblica Istruzione e raggiungere così Roma la città tanto agognata. A Roma il giovane Carlo completò i suoi studi diplomandosi presso l’Istituto Tecnico Industriale. Il lavoro amministrativo e tutte quelle scartoffie che si accumulavano sulla scrivania, lo rendevano nervoso e contemporaneamente lo privavano della sua libertà e fu con vero piacere e grande gioia che decise di lasciare quel lavoro inadatto, per tuffarsi libero e felice nell’ambiente giornalistico, letterario/artistico della Capitale dove già aveva fatto conoscenze importanti. Cesare Pascarella (poeta e pittore) era uno di questi: ribollente di novità, idee e progetti, aveva il potere di coinvolgere qualsiasi e Montani più giovane di un decennio ne fu attratto entrando così a far parte del Circolo Artistico Internazionale che in quel 1887 era stato definitivamente trasferito al civico 54 di via Margutta. Il Circolo Artistico inglobava anche la Società degli Acquerellisti, nella quale militava già dal 1878 Filiberto Petiti altro piemontese trapiantato nella Capitale e anche lui proveniente dalla Pubblica Amministrazione. Petiti acquerellista di grande caratura, lo mise sotto la sua ala protettrice, quasi genitoriale poiché tra loro intercorrevano ventitrè anni di differenza; s’instaurò così tra i due piemontesi una grande amicizia e il giovane Carlo (che già si dilettava nella pittura a olio sotto l’egida del Carlandi) fu iniziato dal maestro a quella tecnica così difficile e severa.... LEGGI TUTTO SU "ARTE RICERCA".