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venerdì 3 luglio 2015
Arturo Rietti, la persecuzione dell'espressione e del pensiero. L'applicazione delle leggi razziali nelle arti - Mauro Moshe Tabor
Arturo nasce in una Trieste in cui le lingue più disparate si mescolano quasi a creare un lessico comune variegato ed incredibilmente ricco. La famiglia Riettis appartiene alla media borghesia ebraica, il padre è un commerciante affermato di cittadinanza greca mentre la madre appartiene ad una agiata famiglia ebraica triestina.
Nel 1863, anno della nascita di Arturo, Trieste è un cantiere a cielo aperto. L’imprenditoria ebraica vede il suo massimo splendore. Gli anni del ghetto e delle segregazioni sono lontani. Le poche famiglie che nel 1696, anno di creazione del Ghetto ebraico di Riborgo vi erano state segregate, sono aumentate notevolmente di numero e continuano ad aumentare quasi esponenzialmente grazie alla azzeccata politica mercantile di Carlo II, portata avanti ed ampliata da Maria Theresia e successivamente dal figlio Giuseppe II. Con la fine del monopolio della Serenissima si apre il sipario sul palcoscenico del golfo di Trieste, il Porto Franco diventa il catalizzatore degli interessi di numerosissime famiglie ebraiche europee che eleggono Trieste a loro dimora.
L’ottocento è il secolo della grande metamorfosi di questa città, il piccolo borgo medievale triestino diventa durante il XVIII secolo ma in modo palese durante il XIX una città portuale di grossa importanza e dalle mille potenzialità. Dopo la brevissima dominazione francese, Trieste, nuovamente austriaca diventa il motore di una macchina con la testa a Vienna e le eliche nelle acque del nostro golfo.
La Comunità ebraica triestina collabora per tutto il XVIII e fino alla seconda metà del XIX secolo alla costruzione e potenziamento dell’Emporio rimanendo però chiusa nella sua religiosità ed endogamia. La fine del XIX secolo vede invece un brusco cambiamento con un veloce allontanamento dalle tradizioni religiose di una grossa parte dei giovani ebrei triestini che, raggiunto un adeguato livello socioeconomico nonché culturale, sposano cause politiche che li portano automaticamente ad allontanarsi dalla fede dei padri. Gli ultimi decenni dell’ottocento vedono la nascita dirompente del movimento irredentista e nazionalista che diventa in molti casi il “nuovo credo” di una parte dell’intellighenzia ebraica triestina.
La trasformazione dell’identità ebraica tra otto e novecento è una delle cose più difficili da spiegare. L’ebreo triestino, ebreo austriaco all’anagrafe, sposando la causa nazionalista italiana smette l’aggettivo “ebreo” ed anche quello “austriaco” e veste con molta disinvoltura quello di “italiano” tout court. Fa propria quindi un’identità culturale e linguistica quale denominazione della sua persona (nella maggior parte dei casi la lingua italiana era acquisita solamente da una o due generazioni).
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