venerdì 27 marzo 2015

EVANGELINA ALCIATI (Torino 1883 – 1959).

Evangelina Alciati. Autoritratto (1945). Olio su tela cm 54,5 x 43. Collezione eredi Alciati
Evangelina Alciati nacque a Torino il 21 agosto 1883, da Francesco (ingegnere) e Caterina Silvia Aschieri (discendente da nobile famiglia anconetana). Quando la bambina era ancora piccola venne a mancare il padre, ma ciò nonostante, ricevette un'ottima istruzione, frequentando la scuola femminile «Domenico Berti». Fu proprio in questo Istituto che Evangelina incontrò Carola Prosperi (scrittrice), che così la descrisse: ...conobbi Evangelina Alciati alla Scuola Femminile Domenico Berti, dove si studiava per diventare maestre... Era piccola di statura e graziosa, ma non fragile, sebbene avesse mani e piedi piccolissimi... Aveva i capelli fini come seta, di un castano bruno, molto lisci, e una ciocca le cadeva sempre sulla fronte... Portava la gonna e la camicetta come tutte noi, ma metteva spesso sotto il colletto la cravatta alla Vallière, come portavano allora gli allievi pittori, quelli che chiamavano bohémien.... Conclusi gli studi alla «Domenico Berti», Evangelina si iscrisse all'Accademia Albertina di Torino, sotto la guida di Giacomo Grosso, per conseguirvi il diploma di professoressa di disegno e pittura. All'Albertina, conobbe Anacleto Boccalatte (Torino 1885 - 1970), dalla cui unione, peraltro mai ufficializzata per volontà di Evangelina, nacque Gabriele, nel 1907. Fra il 1903 e il 1906, Evangelina soggiornò in una Parigi artisticamente effervescente, con esiti decisivi per la sua carriera di pittrice. Nel 1908, alla Promotrice torinese, debuttò con Maternità, un dipinto nel quale si nota l'influsso del maestro Giacomo Grosso. Nel 1912, Evangelina Alciati ed Emma Ciardi parteciparono alla Decima Esposizione Internazionale di Venezia: assieme alla Corradini, le due pittrici furono considerate tra le migliori autrici.
Evangelina Alciati. Zucche sul balcone (1942). Olio su carta, cm 86,5 x 85. Collezione eredi Alciati
. Nel 1991, le fu dedicata una retrospettiva a cura della Famija Turinèisa di Torino, accompagnata da un accurato fascicolo di F. De Caria e D. Taverna, ricco di precisazioni biografiche e di inediti (tra cui lettere di G. Mentessi e di F. Ferrazzi). Nel 2014, sull'artista torinese è stato realizzato il film La Libertà allo Specchio. Ritratto di Evangelina Alciati, diretto dal regista Vanni Vallino da un'idea di Mauro Guidetti, con Pamela Villoresi nel ruolo di Evangelina Alciati. LEGGI TUTTO SU ARTE RICERCA

giovedì 26 marzo 2015

FOPPA VINCENZO - Giuliano Confalonieri

Vincenzo Foppa - Madonna del Libro, 1460-1468 circa. Tempera su tavola, 37,5 x 29,6 cm. Milano, Pinacoteca del Castello Sforzesco. Le sue prime opere conosciute sono San Bernardino e la Crocifissione. Foppa si stabilì con la famiglia a Pavia sotto la signoria degli Sforza. Due lavori di questo periodo sono la Madonna che abbraccia il bambino e Madonna del Libro, entrambi esposti al Castello Sforzesco milanese. Nel 1461 l'artista andò a Genova per affrescare una cappella ed un polittico. Fu richiamato da Francesco Sforza per decorare il portico dell'Ospedale Maggiore e lavorare alla Certosa di Pavia, dove riscosse un pagamento per aver dipinto profetis [...] et certis altris figuris nel chiostro grande, opere perdute. Comunque il lavoro più importante del periodo milanese è la Cappella Portinari nella Basilica di Sant'Eustorgio, dove affrescò Dottori della Chiesa, scene della Vita di San Pietro Martire, l'Annunciazione e l'Assunzione. Il ventennio successivo è un succedersi intenso di commissioni. LEGGI TUTTO SU ARTE RICERCA

GUIDO RENI – SEBASTIANO RICCI – MARCO RICCI - Testi di Giuliano Confalonieri

Guido Reni, Autoritratto, 1602-1603 circa. Roma, Galleria di Palazzo Barberini. Guido Reni (Bologna 1575/1642) entrò ventenne all'Accademia dei Carracci per dedicarsi allo studio della pittura antica (fu impressionato dal lavoro di Raffaello e Caravaggio). Tre anni dopo a Roma realizzò importanti commissioni come gli affreschi in Vaticano (Sala delle nozze Aldobrandine e Sala delle Dame) nonché la decorazione al Quirinale (Cappella dell'Annunciata), conclusa quando l'artista era già impegnato nella Cappella Paolina in Santa Maria Maggiore. La Strage degli innocenti eseguita nel 1611/1612 e conservata a Bologna, è probabilmente l’apice espressivo dell'artista, autore anche dell’affresco Aurora e della Pietà.
Sebastiano Ricci, Autoritratto, 1731. Firenze, Uffizi. Sebastiano Ricci (Belluno 1659/Venezia 1734), alla fine del Seicento si trasferì a Bologna e poi a Parma al servizio del duca Ranuccio. Lo studio delle opere del Correggio risalta nella complessa decorazione dell'oratorio della Madonna del Serraglio a Parma. Inviato dal duca a Roma, poté studiare gli esempi della grande decorazione barocca. Nel 1694 andò in Lombardia lavorando a San Bernardino dei morti a Milano e Santa Maria del Carmine a Pavia.
Marco Ricci, Paesaggio con figure, 1720 circa. Venezia, Gallerie dell'Accademia. Marco Ricci (Belluno 1676/Venezia 1730), fu introdotto nel mondo della pittura dallo zio Sebastiano, per il quale dipingeva sfondi con scene di caccia ed episodi di brigantaggio. In Inghilterra, dove era già conosciuto, lavorò per la nobiltà realizzando tele con battaglie e quinte per l’Opera italiana del Queen’s Theatre (dipinti con ‘prove di canto’). LEGGI TUTTO SU ARTE RICERCA

lunedì 23 marzo 2015

Franco Deboni

Nato a Trieste nel 1950, fin da giovanissimo manifesta un grande interesse per l'arte e l'antiquariato. Durante il periodo di studi di Architettura a Venezia, Deboni si appassiona al vetro artistico. In questo ambiente entra in contatto con i più grandi maestri vetrai muranesi, ed in particolare studia le opere di Paolo Venini (1895-1959), il vetraio per antonomasia, il cui design innovativo ha contribuito a diffondere ulteriormente la fama del vetro veneziano nel mondo. Conseguita la laurea a 24 anni, sotto la guida di Carlo Scarpa e inizia l'attività di designer del vetro con particolare riferimento al settore dell'illuminazione. Collabora con la vetreria Ferro-Lazzarini, dove segue per un periodo Albino Carrara, un maestro vetraio veneziano che aveva lavorato con Picasso e Cocteau, dal quale apprende i segreti della soffiatura e della lavorazione del vetro artistico. "Volevo fare l'architetto, ma il destino mi ha condotto per altre vie" dichiarerà confidandosi con gli amici. Ha curato per il comune di Torino la mostra "Vetro Italiano 1920-1940", nel 1989 viene nominato chief consultant per la mostra "The Venetians" svoltasi nella Galleria Karasik di New York. Nel 1989 Allemandi pubblica il suo libro I Vetri di Venini; nel 1997, Murano '900 - Vetri e Vetrai, a cui farà seguito nel 2007 I vetri Venini. La storia, gli artisti, le tecniche, 1921-2007. Molte sono ancora le sue pubblicazioni sulle arti decorative del Novecento in collaborazione con le maggiori riviste d'arte. LEGGI TUTTO SU ARTE RICERCA

domenica 22 marzo 2015

Alessandro Varotari detto il Padovanino - Semiramide chiamata alle armi - Testi di Dario Succi

Semiramide chiamata alle armi. Olio su tela, 134 x 112 cm. Collezione privata. Leggendaria regina assira, Semiramide fu moglie del re Nino, fondatore del regno assiro e costruttore della città di Ninive. Succeduta al marito governò sull'Assiria dall'anno 906 all '809 prima di Cristo. Secondo Erodoto fu una grande sovrana e durante il suo regno conquistò la Media, l'Egitto e l'Etiopia, realizzando spettacolari opere pubbliche come le mura e i giardini pensili di Babilonia, una delle sette meraviglie del mondo antico. Per gli scrittori cristiani medioevali (Giustino, Agostino di Ippona, Dante Alighieri, Boccaccio) Semiramide assurse a simbolo dell'assolutismo pagano, crudele e licenzioso fino all'incesto. Riprendendo lo smagliante colorismo cinquecentesco di Tiziano, Padovanino raffigura Semiramide nelle sembianze di un'avvenente giovane che alla notizia portata dal messaggero della rivolta di Babilonia assume un'espressione assorta distogliendo gli occhi dallo specchio. La composizione si caratterizza per un'eleganza formale e una purezza classica tipica delle opere realizzate verso la metà degli anni venti quando l'artista, come ricordava Rodolfo Pallucchini (1981, p. 102), esegue "un gruppo di dipinti la cui tematica biblica, mitologica e classica a carattere profano è alimentata dall'ispirazione tizianesca, come la maestosa e patetica Giuditta della Gemäldegalerie di Dresda, Cornelia e i figli della National Gallery di Londra, l'Educazione di Amore di collezione privata statunitense, e infine le due eroine dell'antichità classica Lucrezia e Cleopatra in atto di uccidersi, della Gemäldegalerie di Dresda: opere nelle quali è sempre presente il modello della bellezza femminile del primo Tiziano". Nella Galleria Nazionale della Slovenia, Lubiana, si conserva una copia della Semiramide di minori dimensioni e di formato orizzontale che, già attribuita al Padovanino, è stata correttamente assegnata ad un seguace da Federico Zeri (Fondazione Zeri, Bologna, Archivio fotografico n. 57631). LEGGI TUTTO SU ARTE RICERCA

Alessandro Varotari detto il Padovanino - La Madonna con il Bambino e San Paolo apostolo - Testi di Dario Succi

La Madonna con il Bambino e San Paolo apostolo. Olio su tela, 104.5 x 95.5 cm. Collezione privata. Definendo il dipinto "opera splendida di Alessandro Varotari detto il Padovanino", Egidio Martini, in una comunicazione scritta, osserva che l'artista si era ripetutamente ispirato nelle sue opere a quelle del primo Tiziano, interpretandole con modi pittorici del tutto personali: "Così è anche per questa dolce raffigurazione, concepita con uno spirito sereno, come d'altronde lo è similmente la Madonna con il Bambino e la Maddalena dell'Ermitage di San Pietroburgo di Tiziano [Fomichova 1992, n. 256; acquistato a Venezia nel 1850 dalla collezione Barbarigo] dalla quale questa deriva, con la differenza che al posto della Maddalena a sinistra, il Padovanino ha posto San Paolo. Inoltre vi sono, tra l'uno e l'altro dipinto, molte altre varianti, sia nel panneggio che, in questo caso, è tipico del nostro pittore, sia nel modo di intendere il colore che in questa composizione si distingue principalmente per il vivace e bellissimo rosso cinabro, caratteristico di tante sue raffigurazioni, mentre in Tiziano nasce con velature di lacca garanza. Di straordinaria bellezza è il raffinato modo del tutto padovaninesco di modellare la superficie delle carni del Bambino e del soave viso della Madonna; modo che ci ricorda le levigate e delicate forme di alcune altre sue figure femminili". LEGGI TUTTO SU ARTE RICERCA

Alessandro Varotari detto il Padovanino (Padova 1588 — 1648 Venezia) - breve Biografia di Dario Succi

Figlio di Dario Varotari, pittore e architetto operante a Padova nella seconda metà del Cinquecento, Alessandro nacque nella città patavina nel 1588. Tra le sue prime opere, l'Incredulità di San Tommaso — realizzata nel 1610 per la chiesa di San Tommaso Apostolo, dopo essere stata esposta nell'Ottocento agli Eremitani, dal 1959 è nella chiesa di Santa Lucia — si qualifica per il classicismo tizianesco, probabilmente desunto dalla conoscenza degli affreschi della Scuola del Santo e per l'affrancamento dai modelli del tardomanierismo palmesco allora in auge. Nel 1614 Padovanino si trasferì a Venezia, subito dopo partì per Roma dove poté studiare alcune opere di Tiziano, tra cui il Baccanale degli Andrii, opera esemplare del classicismo cromatico della produzione giovanile del maestro cadorino. Nell'Urbe entrò in contatto con le opere di Carracci, Domenichino e Albani, a quel tempo impegnati nel completamento della decorazione della Galleria Farnese, che esercitarono una influenza decisiva su quella visione di classicismo idealizzato destinata a caratterizzare l'intera produzione del giovane artista. Rientrato a Venezia, dove risulta iscritto alla Fraglia dei pittori dal 1615 al 1639 (Favaro 1975, p. 145), Padovanino svolse un ruolo di primo piano nella cultura figurativa veneta con il recupero neocinquecentista in chiave prebarocca. Attivo fino alla metà del quinto decennio, Alessandro Varotari si spense a Venezia nella parrocchia San Pantalon nel 1649. da ARTE RICERCA

Alessandro Varotari detto il Padovanino - Sofonisba con la coppa di veleno - di Dario Succi

Sofonisba con la coppa di veleno. Olio su tela, 81.5 x 106 cm. Collezione privata. Splendido esempio dello stile del maestro, il dipinto, databile alla fine degli anni venti si distingue per la spumosità effervescente della materia pittorica di derivazione tizianesca. La tela raffigura Sofonisba, nobildonna cartaginese figlia del generale Asdrubale di Gisgo, che sposò in prime nozze Siface di Numidia, acerrimo nemico di Roma. Rimasta vedova, Sofonisba si unì in seconde nozze con Massinissa, re africano alleato di Roma. Quando, a seguito di alterne vicende, Roma ordinò a Massinissa di portare la moglie nell'Urbe come ostaggio, la donna, per non sottostare alla imposizione, preferì bere il calice di veleno procuratole dal marito. L'eleganza formale del dipinto si coniuga con l'andamento maestoso della composizione ritmata dai gesti e drammatizzata dalla ripresa dal basso della protagonista, di gusto ormai prebarocco. LEGGI TUTTO SU ARTE RICERCA

venerdì 20 marzo 2015

Gli inizi di Giuseppe Bernardino Bison - Annalia Delneri

Formatosi all'Accademia di Venezia sotto la guida di Costantino Cedini, Bison lavorò inizialmente come pittore di teatro con Antonio Mauro, dal quale apprese i fondamenti tecnici delle esecuzioni rapide e lo spiccato gusto scenografico, destinato a perdurare come elemento caratterizzante della cultura figurativa bisoniana. Nell'ultimo decennio del Settecento collaborò con l'architetto Giannantonio Selva (decorazioni del distrutto palazzo Bottoni di Ferrara [1787] e del "Casino Soderini" di Treviso [1798]) e, all'inizio dell'Ottocento, si trasferì a Trieste, forse a seguito dello stesso Selva impegnato nel concorso per il Teatro Nuovo. Nella città giuliana Bison ottenne commissioni prestigiose, come la decorazione del palazzo della Borsa e del palazzo Carciotti. Fra Trieste, Gorizia, Lubiana e l'Istria, l'artista si impose per la pittura rapida, che coniugava l'eredità dei frescanti veneti del Settecento alle doti di figurista e ornatista, scenografo e paesaggista. Nel 1824 l'Accademia veneziana lo nominò socio onorario con l'encomio di "pittore di bella immaginativa e spiritosa esecuzione". Dopo una permanenza quasi trentennale a Trieste, Bison si trasferì a Milano (1831), dove fu appoggiato, sul piano economico e su quello dell'amicizia, dall'ingegnere Raffaello Tosoni di Cetona, esperto d'arte che fece ottenere all'artista il primo invito alla mostra di Brera (1833). Giuseppe Bernardino Bison, operoso fino agli ultimi giorni, si spense a Milano il 28 agosto 1844.
Questa serie di vedute inedite raffiguranti gli scorci più suggestivi di Venezia e di Roma presenta un grande interesse per la finissima qualità delle opere e per rilevanza scientifica dell'insieme, che documenta la poco nota attività pittorica giovanile di Giuseppe Bernardino Bison (Palmanova 1762 - Milano 1844), l'ultimo grande divulgatore della luminosa stagione della pittura veneziana del Settecento rinnovata dall'artista con sorprendente e inconfondibile vitalità di stile. LEGGI TUTTO SU ARTE RICERCA

GIULIO CARPIONI - Dario Succi

Giulio Carpioni. Il supplizio di Marsia. Olio su tela, 81 x 106 cm. Collezione privata. Giulio Carpioni nasce a Venezia nel 1613 e risulta attivo a partire dal 1630 nella bottega di Alessandro Varotari detto il Padovanino, da cui apprese i canoni del classicismo veneto, avendo come riferimento la tradizione aurea di Tiziano giovane. Aperto alle molteplici suggestioni della cultura contemporanea, l'artista completò la formazione seguendo il maestro nel 1631 a Bergamo, dove scoprì quel sentimento della realtà che era stato proprio ai lombardo-veneti del Cinquecento.
Giulio Carpioni. Bacco, tabacco e Venere, olio su tela, 114 x 135 cm. Collezione privata. Le posizioni mentali della ricerca del vero e delle istanze classicistiche, apparentemente inconciliabili, convivono nell'opera di Carpioni che derivò da Carlo Saraceni e Jean Le Clerc, presenti a Venezia in quegli anni, il gusto di una forma lucidamente intesa, calibrata nella luce ferma, perfettamente in linea con una tensione ideale orientata verso lo stilismo formale più rigoroso.
Giulio Carpioni. Offerta a Venere. Olio su tela, 73 x 98 cm. Collezione privata. Con questo bagaglio l'artista cominciò ad operare autonomamente e nel 1738 si trasferì a Vicenza. Stimolata da una ricerca grafica condotta sugli esemplari di Pietro Testa e di Simone Cantarini e guidata dall'eco dell'opera di Nicolas Poussin, la via del classicismo fu perseguita da Carpioni nella città di Palladio, raggiungendo la piena maturità espressiva negli anni sessanta con quelle "invenzioni ideali, come sogni, sacrificj, baccanali, trionfi, e balli di puttini" ricordati da Pellegrino Orlandi (ed. 1753, p. 311) come "i più belli capricci, che abbia mai inventato altro Pittore". LEGGI SU ARTERICERCA: Il supplizio di Marsia; Bacco, tabacco e Venere; Offerta a Venere.

mercoledì 18 marzo 2015

Pietro Liberi (Padova 1614 - 1687 Venezia) - Allegoria della Pace e della Giustizia - Testi di Dario Succi

Allegoria della Pace e della Giustizia. Olio su tela, 87 x 97 cm. Collezione privata. Il presente dipinto inedito, databile verso la metà degli anni sessanta, costituisce una notevole testimonianza del la lettura "barocca "di Paolo Veronese: animato dal languore nostalgico caratteristico della sensibilità seicentesca, l'artista attinge dal grande maestro l 'intonazione cromatica perlacea per esaltare il seducente aspetto delle figure femminili, impaginate sull'intera superficie della tela. Una pennellata leggera e sfrangiata si sofferma sul panneggio di velo e trine dell'abito della Pace, mentre il colore si fa più corposo nel mantello damascato oro e nella veste rossa della Giustizia. La raffinatezza pittorica culmina nei volti, dove Liberi, come osservava Luigi Lanzi (1795-1796 [1968-1974, II, pp. 143]), riusciva ad esprimersi compiutamente: "L' impasto de' colori è soave, l'ombre tenere e correggesche, i profili spesso derivati dall'antico, il maneggio del pennello franco e magistrale" . LEGGI TUTTO SU ARTE RICERCA

Luca Carlevarijs - Marina con il ponte Rotto e l'arco di Costantino - Dario Succi

Marina con il ponte Rotto e l'arco di Costantino. Olio su tela, 125.5 x 189.5 cm. Rovigo, Accademia dei Concordi (inv. n. 88) Pervenuto all'Accademia dei Concordi nel 1912 a seguito del lascito della contessa Maria Venezze Giustinian, la tela, databile verso il 1711-1712, è caratterizzata dall'inserimento dell'arco di Costantino e del ponte Rotto in un contesto di ampio respiro in cui trovano spazio i consueti motivi del porto di mare sullo sfondo e dei traghettatori in primo piano. «L'abbinamento del ponte con l'ingresso monumentale alla città, costante fin dagli esordi nei porti di mare di Carlevarijs, appare qui particolarmente audace per la disinvoltura con cui viene operato il montaggio di due monumenti così famosi, descritti peraltro con una certa verosimiglianza, e situati in un contesto assolutamente realistico e credibile, a sottolineare l'assoluta arbitrarietà dell'operazione pittorica. (Succi, Reale 1994, p. 218). LEGGI SU ARTE RICERCA

Antonio Canal detto il Canaletto - Venezia, Il molo dal bacino di San Marco - Dario Succi

Il molo dal bacino di San Marco. Olio su tela 53,4 x 70,8 cm. Collezione privata. La veduta, già esposta nelle mostre: Canaletto, una Venecia imaginaria; Titian to Tiepolo; Three Centuries of Italian Art; Da Tiziano a Caravaggio a Tiepolo, reca sul telaio etichette e sigilli che documentano i passaggi, dall'Inghilterra (etichetta dello spedizioniere «J. Chenue – French Packer – IO Great St Andrew Street, Shaftesbury Avenue, London WC») alla Francia (sigillo in ceralacca rossa della galerie Sedelmeyer, Parigi) e alla Svizzera (galerie Giese, Zürich Lintherschergasse 12 bei Hauptbanhof, 1942). L'indicazione più notevole è quella relativa alla galerie Sedelmeyer che fu un importante punto di riferimento per l'arte antica nella capitale francese fra la fine dell'Ottocento e il secolo successivo. LEGGI TUTTO SU ARTE RICERCA

Giulio Carpioni - Il supplizio di Marsia - Dario Succi.

Il supplizio di Marsia. Olio su tela, 81 x 106 cm. Collezione privata. Il tema del supplizio di Marsia deriva iconograficamente da una statua ellenistica, conservata a Roma nei Musei Capitolini e spesso copiata durante il periodo rinascimentale, raffigurante il satiro con i piedi legati ad un albero in atto di essere scorticato. Marsia era un suonatore di flauto, lo strumento inventato da Minerva su cui gravava la maledizione della dea: Apollo, irritatosi per l'orgogliosa abilità musicale del satiro, lo sfidò in una gara — flauto contro cetra — il cui vincitore avrebbe potuto infliggere al perdente qualunque punizione. La giuria, formata dalle Muse, decretò la vittoria di Apollo che, dopo aver legato Marsia ad un pino, lo scorticò vivo. Il mirabile dipinto va annoverato tra i capolavori che Giulio Carpioni eseguì negli anni sessanta nel momento culminante del percorso artistico, quando seppe sapientemente modulare, nella disposizione delle figure classicamente atteggiate in composizioni complesse e turgide, il gioco alterno di ombre e di luci. " LEGGI TUTTO SU ARTE RICERCA

Giulio Carpioni - Bacco, tabacco e Venere - Dario Succi

Bacco, tabacco e Venere. Olio su tela, 114 x 135 cm. Collezione privata. Il presente dipinto, conosciuto anche con il titolo I vizi umani, è una replica del prototipo conservato al Museo Civico di Vicenza, facente parte di una serie di scene di gusto postcaravaggesco comprendente due varianti sul tema del Gioco d'azzardo (una già in una collezione privata bolognese; l'altra in una collezione privata veronese) e la Allegoria del Tempo di collezione privata veneziana (Pallucchini 1981, II, figg. 653-656). Questi dipinti, databili agli anni trenta, sono ispirati ai modelli di eleganza neocinquecentesca "che il Carpioni fa scendere dal trono di aulicità del Padovanino, mischiandola ad una umanità caratterizzata secondo la moda naturalistica importata a Venezia dal Saraceni e dal Renieri. Una luce fredda scivola sulle superfici setacee delle vesti che si rapprendono in pieghe dense, come bagnate dall'acqua. LEGGI TUTTO SU ARTE RICERCA

martedì 17 marzo 2015

LEONARDO, PALLADIO E L'ARCHETIPO GEOMETRICO DELLA QUADRATURA DEL CERCHIO

Il famoso disegno di Leonardo da Vinci custodito a Venezia presso le Gallerie dell’Accademia, noto come L’uomo vitruviano, esprime l’ideale delle perfette proporzioni del corpo umano e al contempo registra la “fatale irruzione” di un’immagine archetipica. Esso richiama, nella correlazione armonica con le figure del quadrato e del cerchio, alcuni archetipi geometrici universali. È stato giustamente notato come in questo caso affiori la teoria alchemica del microcosmo e macrocosmo, per cui l’homo ad circulum e l’homo ad quadratum del De architettura di Vitruvio possono sovrapporsi (Elettrico). Riprendere Vitruvio, peraltro, vuol dire accogliere la sua concezione dell’ars muratoria, fondata sull’armonia delle proporzioni e sulla corrispondenza tra la natura e le costruzioni architettoniche: un’armonia insita nelle forme naturali che si riverbera in quelle ideate dalla mente umana. LEGGI TUTTO SU ARTE RICERCA

Leonardo da Vinci - Trattato della pittura

Del primo principio della scienza della pittura. Il principio della scienza della pittura è il punto, il secondo è la linea, il terzo è la superficie, il quarto è il corpo che si veste di tal superficie; e questo è quanto a quello che si finge, cioè esso corpo che si finge, perché invero la pittura non si estende più oltre che la superficie, per la quale si finge il corpo figura di qualunque cosa evidente. L. da Vinci, Trattato della pittura (Biblioteca Vaticana, Codice Urbinate lat. 1270, 31 v.). Agli inizi del Cinquecento, Leonardo Da Vinci, prototipo universale dell'artista scienziato, ha già completato gli scritti del Codice Vaticano Urbinate 1270, anche noto come Libro di pittura, o Trattato della pittura di Lionardo da Vinci. Il Trattato, un'opera composita, compilata postuma da uno o più allievi, contiene vari precetti, teorie e appunti in cui vengono enunciati i principi filosofici e ideali della pittura. Per Leonardo, la pittura è scienza - equiparandola alle arti speculative quali filosofia, poesia e teologia, vi applica le discipline matematiche e geometriche - conduce il lettore nell'esercizio della "filosofia del vedere", cioè nel cogliere la Natura tramite l'osservazione di quei fenomeni fisici, matematici e geometrici che ne determinano la percezione visiva. LEGGI TUTTO SU ARTE RICERCA

Leonardo da Vinci - Tavola cronologica della vita di Leonardo

1452 - Leonardo nasce ad Anchiano (Vinci), il 15 aprile, figlio naturale del notaio Piero di Antonio e di non meglio identificata Caterina, contadina. 1457 - Nella dichiarazione per il catasto di Vinci, il nonno Antonio dichiara che con lui e con la moglie Lucia, di anni 64, convive Lionardo, figlio non legittimo del figlio Piero. 1469 - In questo anno Leonardo risulta già nella bottega del Verrocchio quale apprendista. 1472 - È iscritto nella Compagnia di San Luca dei pittori. A partire da questa data sono da collocarsi le sue prime opere: apparati per feste e tornei, un cartone per arazzo (distrutto) e i dipinti di incerta datazione. 1473 - Data (5 agosto) il disegno con il Paesaggio della valle dell'Arno (Firenze, Uffizi). 1475 - Dipinge l'Annunciazione. 1476 - Risulta ancora abitare presso il Verrocchio. Assieme ad altre persone viene accusato di sodomia. Viene assolto dall'accusa. 1478 - Riceve l'incarico di eseguire la pala d'altare per la cappella di San Bernardo nel Palazzo della Signoria. Nello stesso anno afferma di avere eseguito due dipinti della Vergine, uno dei quali è identificato con la Madonna Benois. 1480 - Secondo l'Anonimo Gaddiano, lavora per Lorenzo de' Medici. 1481 - Contratto per l'Adorazione dei Magi. 1482 - Si trasferisce a Milano lasciando incompiuta l'Adorazione dei Magi. 1483 - A Milano stipula il contratto per la Vergine delle rocce assieme a Evangelista e Ambrogio de' Predis. Nasce a Urbino Raffaello. 1487 - Pagamenti per i progetti per il tiburio del Duomo di Milano. 1489 - Realizza degli apparati provvisori per festeggiare le nozze tra Gian Galeazzo Sforza e Isabella d'Aragona. Nello stesso anno hanno inizio i preparativi per la statua equestre in onore di Francesco Sforza. 1491 - Entra al servizio di Leonardo Gian Giacomo Caprotti da Oreno, detto Salaì, di anni dieci. 1492 - In occasione del matrimonio tra Ludovico il Moro e Beatrice d'Este, disegna i costumi per il corteo di sciti e di tartari. 1494 - Presiede i lavori di bonifica per una tenuta dei duchi, presso Vigevano. Inizia il Cenacolo. 1495 - Inizia la decorazione dei camerini del Castello Sforzesco. Viene citato come ingegnere ducale. 1497 - Il duca di Milano lo sollecita a portare a termine il Cenacolo, probabilmente concluso alla fine dell'anno. 1498 - Completa la decorazione della Sala delle Asse nel Castello Sforzesco. 1499 - In compagnia di Luca Pacioli, lascia Milano. E' prima a Vaprio, presso Francesco Melzi, poi a Mantova esegue due ritratti di Isabella d'Este. 1500 - Giunge a Venezia a marzo. Rientra a Firenze e trova alloggio presso il convento dei Serviti alla Santissima Annunziata. 1502 - Entra al servizio di Cesare Borgia come architetto e ingegnere generale, seguendolo nelle sue campagne militari in Romagna. 1503 - Ritorna a Firenze dove, secondo il Vasari, esegue la Gioconda e la Leda. Elabora progetti per la deviazione dell'Arno durante l'assedio di Pisa. La Signoria lo incarica di dipingere la Battaglia di Anghiari. 1504 - Continua a lavorare alla Battaglia di Anghiari. È chiamato a far parte della commissione che deve decidere la collocazione del David di Michelangelo. 1506 - Ritorna a Milano. 1508 - Vive a Firenze e poi ritorna a Milano. 1509 - Studi geologici delle valli lombarde. 1510 - Studi di anatomia con Marcantonio Torre all'Università di Pavia. 1513 - Si trasferisce a Roma, dove alloggia in Vaticano, nel Belvedere, sotto la protezione di Giuliano de' Medici. Esegue studi matematici e scientifici. 1514 - Esegue progetti per il prosciugamento delle paludi pontine e per il porto di Civitavecchia. 1516 - Si trasferisce ad Amboise, alla corte di Francesco I di Francia. 1518 - Partecipa alle celebrazioni per il battesimo del Delfino e per il matrimonio di Lorenzo de' Medici con una nipote del re. 1519 - Il 23 aprile redige il suo testamento, nominando esecutore testamentario il pittore e amico Francesco Melzi. Muore il 2 maggio. LEGGI SU ARTE RICERCA

LEONARDO DA VINCI - Lo straordinario messaggio di Leonardo nel disegno dell'uomo vitruviano, custodito alle Gallerie dell'Accademia di Venezia - Silvia Gramigna

Leonardo da Vinci, Le proporzioni del corpo umano secondo Vitruvio. Venezia, Gabinetto dei Disegni delle Gallerie dell'Accademia, cat. n. 228, punta metallica, penna e inchiostro, tocchi di acquerello su carta bianca, 344 x 245 mm. Un cerchio, un quadrato e, al centro, un'emblematica figura d'uomo. Chi non conosce questo straordinario disegno delle Gallerie dell'Accademia di Venezia, noto come L'uomo vitruviano, di Leonardo da Vinci? Lo si incontra molte volte caricato dei più disparati significati: negli ambienti scientifici, nelle università, nelle palestre, sui frontespizi dei libri, persino su capi di abbigliamento... si può dire che esso sia negli ultimi anni stato assunto quale simbolo della civiltà occidentale. Tra pochi mesi poi il disegno diventerà familiare proprio a tutti perché lo vedremo riprodotto sulla moneta da un euro coniata dall'Italia. È forse il disegno più famoso del mondo. A che cosa si deve tale diffusione? Non certo al nome altisonante dell'autore, né tantomeno alla qualità esecutiva, anche se altissima. Vi sono altri disegni importanti di Leonardo, molto suggestivi e di qualità forse superiore al nostro... Nemmeno il soggetto raffigurato, le ideali perfette proporzioni del corpo umano secondo le indicazioni fornite da Vitruvio, risulta essere di grande interesse per l'uomo moderno. Inoltre, in altri disegni Leonardo ha trattato il tema dell'anatomia e delle proporzioni senza tuttavia raggiungere gli esiti di questo disegno. Certamente, la fortuna di un'opera ha motivazioni molto complesse e, a volte, misteriose, ma vorrei proporre una riflessione critica in chiave filosofica alla luce della quale l'opera assume un significato nuovo e quantomai profondo. LEGGI TUTTO SU ARTE RICERCA

La Serenissima nello Specchio di Rame - Dario Succi. L'opera completa dei grandi maestri veneti, Splendore di una civiltà figurativa del Settecento.

La Serenissima nello Specchio di Rame. L'opera completa dei grandi maestri veneti, Splendore di una civiltà figurativa del Settecento. 2 volumi a cura di Dario Succi. Due volumi cartonati di grande formato, veste grafica accuratissima, 980 pagine, 1340 schede di altrettante opere, 1500 immagini con dettagli anche a piena pagina. L’opera, che è frutto di un trentennio di ricerche, colma una lacuna su quello che fu il secolo d’oro di uno straordinario universo di immagini incise, finora non adeguatamente valorizzato perché oggetto di studi frammentari, diluiti in un arco di tempo plurisecolare, dispersi su riviste specializzate e contributi monografici di non facile reperibilità. I cataloghi ragionati di ventidue grandi maestri (Luca Carlevarijs, Marco Ricci, Michele Marieschi, Antonio Canal detto Canaletto, Bernardo Bellotto, i tre Tiepolo, Jacopo Amigoni, Sebastiano Ricci, Francesco Fontebasso, Alessandro Longhi, Gaetano Zompini, Gianfrancesco Costa, ecc.) sono integrati da una selezione delle serie più significative di dodici fra i migliori incisori di riproduzione (Francesco Bartolozzi, Davide Fossati, Antonio Visentini, Giambattista Brustolon, Giovanni Volpato, Giuliano e Marco Sebastiano Giampiccoli, Dionisio Valesi, Francesco Zuccarelli, Antonio Sandi, Teodoro Viero). Di ogni incisione, accuratamente riprodotta, vengono descritti tutti gli stati conosciuti, precisando le dimensioni, la tecnica esecutiva, la datazione, l’eventuale esistenza di dipinti o disegni corrispondenti. La catalogazione delle stampe (1340 schede, 1500 immagini con dettagli anche a piena pagina, come si è già detto) scorre all’interno di una visione panoramica che consente di seguire la nascita, la straordinaria fioritura, il lento declino di una civiltà espressiva che ha contribuito in maniera determinante, con la larghissima diffusione internazionale, all’esaltazione della gloria di Venezia e della Repubblica Serenissima. I capitoli, ordinati cronologicamente, sono suddivisi seguendo un filo conduttore che valorizza artisti e generi tematici: vedute di Venezia, delle isole lagunari, della Riviera del Brenta, del territorio prealpino, di città italiane ed europee; riproduzioni di dipinti storici, religiosi, allegorici e mitologici; ritratti di artisti, santi e letterati; fantasiose teste di carattere, capricci di paesi e di rovine; le delizie della villeggiatura, le stagioni, i mesi, la caccia in valle, i mestieri ambulanti; le feste dogali,il carnevale e le sagre popolari; la vita in maschera nei caffé, nei palazzi e nei casini. Strumento prezioso per studiosi, collezionisti, antiquari, questa pubblicazione può coinvolgere tutte le persone sensibili al fascino dell’arte e della storia di Venezia.
“La Serenissima nello specchio di rame. Splendore di una civiltà figurativa del Settecento. L’opera completa dei grandi Maestri veneti” Due volumi cartonati 24 x 30 cm con sovracoperta e cofanetto. 980 pagine totali, 1340 schede, 1500 immagini. VEDI TUTTO SU ARTE RICERCA

Dario Succi - Biografia

Dario Succi è nato a Cividale del Friuli nel 1940 e risiede a Meduna di Livenza (TV). Laureatosi all'Università di Pisa, si è specializzato nello studio della pittura e dell'incisione veneziane dal Seicento all'Ottocento. Recentemente ha curato, con A. Delneri, i cataloghi delle mostre: Canaletto, una Venecia imaginaria nelle sedi espositive del Museo Thyssen-Bornemisza, Madrid e del Centre de Cultura Contemporania, Barcellona, 2001), Da Canaletto a Zuccarelli, il paesaggio veneto del Settecento allestita nella magnifica residenza di campagna di Ludovico Manin, ultimo doge della Repubblica di Venezia (Villa Manin di Passariano, Udine 2003). È autore di vari libri, tra cui Venezia nella felicità illuminata delle acqueforti di Antonio Visentini (Treviso 1984), Isolario Veneto (Treviso 1985), Francesco Guardi, itinerario dell'avventura artistica (Milano 1993) di cui è stata pubblicata una edizione francese (Parigi 1995). Luca Carlevarijs e la veduta veneziana del Settecento (Palazzo della Ragione, Padova 1994), Canaletto et Bellotto (Musée Jenish, Vevey 1994), Von Canaletto bis Tiepolo (Anhaltische Gemäldegalerie, Dessau 1995), Bernardo Bellotto detto il Canaletto (Villa Morosini, Mirano 1999). Insieme a Rainer Michael Mason, André Corboz e Annalia Delneri ha collaborato alla mostra Une Venise imaginaire. Architectures, vites et seines capricieuses dans la gravure vénitienne du XVIII° siècle (Cabinet des Estampes, Musée d'Art et d'Histoire, Ginevra 1991), con Gertrude Borghero a Alito e Fascino di Venezia nelle vedute del Settecento (Stifttrog Langmatt, Baden 1994), con Mina Gregori e Pietro Zampetti, a quella su Antonio Francesco Peruzzini (Mole Vanvitelliana, Ancona 1997); con Rainer Michael Mason e Christophe Cherix a Les Tiepolo peintres graveurs (Musée d'Art et d'Histoire, Ginevra, 2001). Negli ultimi alali ha curato (con Annalia Delneri) i cataloghi delle mostre Canaletto, una Venezia immaginaria (Museo Thyssen Bornemisza, Madrid; Centre de Cultura Contemporania, Barcellona). Nel 2013 ha visto la luce la monumentale opera in due tomi La Serenissima nello specchio di rame. Splendore di una civiltà figurativa del Settecento. L'opera completa dei grandi maestri veneti (Crocetta del Montello). Nel 2015 ha pubblicato Il fiore di Venezia - dipinti dal Seicento all'Ottocento in collezioni private. LEGGI SU ARTE RICERCA

Pietro Liberi (Padova 1614 — 1687 Venezia) - Il Tempo scioglie la verità - Testi di Dario Succi

Il Tempo scioglie la verità. Olio su tela, 201 x 150.5 cm. Collezione privata. Nato a Padova il 15 aprile del 1614, Pietro Liberi, dopo una prima formazione presso il Padovanino, trascorse una giovinezza avventurosa, passata tra combattimenti contro i turchi e viaggi in Europa: imbarcatosi per Costantinopoli nel 1628, fu fatto schiavo e portato a Tunisi da dove fuggì per Malta. Nel 1633 sbarcò in Sicilia e quattro anni dopo partì per Lisbona, soggiornando anche in Spagna e in Francia. La sua vocazione artistica si consolidò a Roma (1638-1641) con la frequentazione della bottega di Pietro da Cortona. Il successivo soggiorno toscano (Siena, Firenze) lo pose a contatto con esperienze diverse, dal misticismo di Cesare Dandini al classicismo di Guido Reni, ma fu con il definitivo trasferimento a Venezia (1643) che l'artista si indirizzò definitivamente verso una reinterpretazione, di fulgida carnalità, del cosmo decorativo di Paolo Veronese. Egidio Martini, in una comunicazione scritta, interpretando il soggetto allegorico come Il Tempo incatena la Bellezza, ha sottolineato l'altissima qualità pittorica "realizzata attraverso una composizione e un movimento delle masse ben equilibrato e armoniosi e, ancora, attraverso un colore trasparente e chiaro che rende l 'insieme, pur nella monumentalità della composizione, leggero e sereno ". L'importante dipinto, che nel 1934 si trovava presso Malmede a Colonia, è una variante autografa della grande tela, firmata, passata in vendita presso Semenzato, Venezia (26 febbraio 1989, n. 116; 274 x 172 cm) resa nota da A. ed E. Martini (1959, p. 28; 1982, p. 465, nota 9) la quale, secondo Ugo Ruggeri (1996, P 117), rappresenta una Allegoria del Tempo e della Verità che gli porge il simbolo dell 'Obbligo verso di sé e gli altri. Pubblicando il presente dipinto, Fabrizio Magani (1989, pp. 45-48) lo considerava come prototipo, quindi cronologicamente anteriore all'altra versione. LEGGI TUTTO SU ARTE RICERCA

Giulio Carpioni (Venezia 1613 — 1679 Verona) - Offerta a Venere - testi di Dario Succi.

Offerta a Venere. Olio su tela, 73 x 98 cm. Collezione privata. Nato a Venezia nel 1613, Giulio Carpioni risulta attivo verso il 1630 nella bottega di Alessandro Varotari detto il Padovanino, da cui apprese i canoni del classicismo veneto, avendo come riferimento la tradizione aurea di Tiziano giovane. Aperto alle molteplici suggestioni della cultura contemporanea, l'artista completò la formazione seguendo il maestro nel 1631 a Bergamo, dove scoprì quel sentimento della realtà che era stato proprio ai lombardo-veneti del Cinquecento. Opera della piena maturità, lo splendido dipinto interpreta il soggetto mitologico trasponendo la tematica in una favola prearcadica. Nell'aria immobile di un paese sognato, le figure intarsiate nell'azzurro cobalto del cielo si dispongono nello spazio aperto della radura: ignare del tripudio festante dei putti, le algide membra delle ninfe sono modellate dall'incidenza della luce, bloccata sullo smalto della forma splendente.
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lunedì 16 marzo 2015

IL FIORE DI VENEZIA - dipinti dal Seicento all' Ottocento in collezioni private - a cura di Dario Succi.

Tre secoli di pittura veneta:, una raffinata scelta del gusto collezionistico internazionale. Mentre il collezionismo del Cinquecento era stato prevalentemente mirato alla costituzione di un gabinetto in cui riunire ed esporre, senza precisi criteri selettivi, reperti archeologici, antichità del mondo greco-romano, oggetti rari ed esotici, cammei e medaglie, nel corso del Seicento si sviluppa a Venezia, in maniera rapidamente crescente, la formazione di quadrerie collocate negli ambienti più rappresentativi del palazzo di famiglia. Ricoprire interamente le pareti del portego o del Cameron grande con dipinti dei maestri del Cinquecento costituiva, per il patriziato veneziano e la facoltosa borghesia emergente, un mezzo per affermare la qualità del proprio rango sociale. Affievolitasi la committenza statale, sono soprattutto i nuovi nobili ad assumere il ruolo di mecenati chiamando gli artisti più in voga a celebrare i fasti della famiglia con affreschi magniloquenti. Nel Settecento emergono figure di raffinati collezionisti e di finissimi conoscitori, da Zaccaria Sagredo (1653-1729), che aveva riunito una ricchissima collezione di disegni e di stampe, ad Anton Maria Zanetti il Vecchio (1680-1767) che, fine incisore lui stesso, seppe creare un fitta rete di relazioni con eminenti collezionisti europei, dal banchiere parigino Pierre Crozat ai conti di Carlisle che, nella splendida country house di Castle Howard, nello Yorkshire, erano riusciti a costituire - dopo quella di Joseph Smith - la più importante collezione europea di vedute veneziane del Settecento con quaranta splendidi dipinti di Canaletto, Bellotto, Marieschi e Cimaroli. Figura di rilievo tra gli intellettuali conoscitori, Francesco Algarotti (1712-1764) ricevette l 'incarico di redigere un ambizioso progetto per la costituenda Galleria dresdense di Augusto III, principe elettore di Sassonia e re di Polonia. Spettò a due facoltosi stranieri residenti a Venezia, Joseph Smith (1664 c.-1770) e Matthias von der Schulenburg (1661-1747) svolgere un ruolo protagonistico nel collezionismo veneziano del XVIII secolo. Il console inglese, principale patron di Canaletto, radunò nella residenza sul Canal Grande ristrutturata da Antonio Visentini e nella villa di Mogliano, una spettacolare collezione (dipinti, disegni, gemme e miniature) destinata ad essere venduta nel 1762 al re d 'Inghilterra. Il maresciallo Schulenburg, comandante in capo delle armate della Serenissima, riuscì ad allestire nel giro di un ventennio, a partire dal 1724 quando aveva più di sessanta anni, una imponente Galleria composta da mille dipinti di autori antichi e contemporanei, meticolosamente descritti in una serie di inventari continuamente aggiornati. Verso la fine del Settecento, spettò al ricchissimo Girolamo Manfrin, di umili natali, disprezzato dai nobili invidiosi per essere " in mezzo al fango e dalla merda nato", radunare nel palazzo sul rio di Cannaregio una innovativa raccolta di carattere storico "come omaggio alle vette toccate dalla pittura veneziana, chiusa, non ordinata in base alle concezioni estetiche del singolo ma rispondente a scelte programmate che rispondono ai bisogni di un 'intera comunità, strumento di formazione culturale dei cittadini sotto l' influsso dei nuovi indirizzi culturali.
Luca Carnevarijs, Piazza San Marco verso la Basilica, collezione privata.
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